«Non so se siamo più francesi o italiani»
Bruno Pavlovsky, presidente di Chanel: «Da luglio c’è una certa ripresa, continuiamo ad investire nel vostro savoir faire»
«Una manica ricamata, sublime, in un contesto rock: Virginie Viard si è divertita a valorizzare il lavoro dei nostri straordinari artigiani rompendo un po’ gli schemi, per andare sempre avanti nella creazione. Adoro il suo lavoro e la sua ricerca», dice Bruno Pavlovsky, presidente della moda di Chanel, a proposito della direttrice artistica che l’anno scorso ha preso il posto del compianto Karl Lagerfeld.
Pavlovsky è stato tra i pochissimi — in tempi di Covid — ad assistere dal vivo alla presentazione della nuova collezione dei Métiers D’Art, l’omaggio agli artigiani della maison Chanel. Dopo Edimburgo e Salisburgo quest’anno la tradizione dei castelli è stata rinnovata con l’evento digitale a Chenonceau, «il castello delle dame» nella Loira, dove visse Caterina de’ Medici che aveva nell’emblema due C intrecciate «proprio come Chanel», ha ricordato Viard. Unica invitata ammessa ad assistere sul posto e non online l’attrice Kristen Stewart, da qualche anno égerie di Chanel.
Come ha vissuto Chanel questo anno 2020 unico per tutti, e per la «maison» anche il primo senza Lagerfeld (scomparso nel febbraio 2019, ndr)?
«Siamo stati sorpresi dalle dimensioni della crisi, a febbraio, un po’ come tutti. Siamo passati allo smart working. Ma non abbiamo mai smesso di creare e andare avanti, anche per aiutare i nostri fornitori francesi e italiani.
E-commerce Occhiali da 350 euro sono prodotti perfetti da vendere online, una borsa da 7 mila euro no»
E abbiamo cercato di tenere vivo il rapporto con i clienti, con contenuti digitali speciali, anche se non possono sostituirsi al contatto umano delle boutique o delle sfilate. Siamo riusciti a reagire con forza e a preservare il nostro carattere, che è l’energia permanente. E da luglio c’è una certa ripresa».
Avete alzato i prezzi più volte, come mai?
«Chanel incarna il lusso estremo e il valore dei nostri prodotti dipende anche dalle materie prime. In un caso il rialzo è stato determinato dal forte aumento del costo dei materiali. In un altro abbiamo solo allineato i prezzi nel mondo intero, seguendo la nostra regola abituale».
La pandemia vi ha incoraggiato a innovare nel digitale e a trasferire le sfilate in quel contesto. Cosa resterà delle nuove abitudini, quando l’emergenza sarà finita?
«Cercheremo un buon equilibrio tra lo show vero, con gli invitati sul posto, e una diffusione digitale più larga. Avevano già cominciato a farlo prima della crisi, continueremo e ci adatteremo alla situazione, collezione per collezione. I due aspetti sono complementari, ma l’aspetto reale, fisico, resta irrinunciabile».
La rinnovata attenzione per il digitale si vede anche nel lancio dell’e-commerce per gli occhiali in Europa?
«Lo avevamo già deciso, faceva parte dei nostri accordi con Luxottica. Gli occhiali da 350, 400 euro sono un prodotto che si presta bene alla vendita online, mentre per una borsa da 6000 o 7000 euro privilegiamo l’esperienza delle nostre équipe nei negozi fisici. Le due realtà possono coabitare senza difficoltà».
Negli ultimi giorni Chanel ha fatto nuove acquisizioni in Italia: Vimar, Conceria Samanta, Conceria Gaiera, Ballin. Conferma la tendenza di Chanel di avvicinarsi sempre di più ai suoi fornitori?
«La storia d’amore tra Chanel e l’Italia continua, non so se siamo più francesi o italiani, ma comunque in Italia ci sono savoir faire eccezionali che per noi sono vitali. Queste partnership sono fondamentali se vogliamo continuare a creare nei prossimi anni».
Quasi un anno e mezzo dopo, quale bilancio può stilare del «Fashion Pact» per l’ambiente?
«Sta permettendo lo scambio di esperienze su aspetti molto tecnici e concreti per ridurre l’impatto ambientale della nostra industria. È un’iniziativa davvero importante».