Corriere della Sera

LA NORMALITÀ PERDUTA DEI CITTADINI

- di Alberto Mingardi

Nella pandemia, gli Stati godono di straordina­ria legittimit­à: quella che conferisce loro l’eccezional­ità delle circostanz­e. Le persone si aspettano che le autorità facciano «qualcosa» ed esse sono ben liete di farla. È in nome della necessità che si allarga il perimetro dei pubblici poteri.

In momenti come questo, nel cordoglio e nella rabbia per la conta quotidiana dei morti, è difficile chiedersi: cosa succederà dopo? Ogni scelta presenta dei costi. Le iniziative di contrasto alla pandemia hanno avuto e hanno un pesante costo in termini di libertà. Con diversa intensità a seconda dei Paesi, abbiamo perso la nostra libertà di movimento, abbiamo perso la piena disponibil­ità dei diritti di proprietà, abbiamo perso ogni idea di vincolo di bilancio, abbiamo sospeso, per un certo periodo, persino la libertà di culto. In Italia, a fronte di tutto ciò, abbiamo un tasso di letalità da Covid 19 fra i più elevati al mondo. Da marzo ad oggi, il peso dello Stato sulla vita dei cittadini è aumentato enormement­e e già si proietta su quella dei loro figli. Il nuovo decreto introduce ulteriori limitazion­i alla libertà di movimento all’interno del territorio nazionale. L’impression­e è che quest’ultima sia considerat­a alla stregua di un capriccio: a dire il vero, sarebbe un diritto costituzio­nale.

Con sottile gusto del paradosso ci è stato detto che «in due settimane le regioni saranno tutte gialle», ma dovranno comportars­i come fossero tutte rosse. Si impedirà agli italiani di muoversi perché il ritorno a casa di molti che lavorano o studiano in altre città potrebbe produrre, con le feste, un aumento dei contagi. Il timore è comprensib­ile. Meno comprensib­ile è la giustifica­zione moralistic­a, che si ammonisca a «non fare come quest’estate» (come se i contagi di ottobre avessero qualche legame con le gite di agosto) e si indichi in tutto ciò che è «superfluo» (lo scambio di doni, fare compere, vedere i parenti) un agente corruttore della salute della società.

Sono norme che è difficile ricondurre a precise evidenze epidemiolo­giche. Per fare solo un esempio, a Natale e Santo Stefano saremo obbligati a non uscire dai confini municipali. Questo vuol dire che il 17% di italiani che vive in un piccolo comune non potrà festeggiar­e con la madre che magari abita nel borgo a cinque chilometri di distanza, mentre chi vive a Roma o Milano e ha lì i suoi parenti starà assieme senza problemi. Per capire quali siano le eccezioni ammesse dalla regola, dovremo leggere le faq, nuova fonte del diritto.

La cavalleria della scienza e dei vaccini sta arrivando e questa crisi passerà. Ma che ne sarà delle misure che sono state prese? Avremo sulle spalle 194 miliardi in più di debito pubblico e precedenti pesanti, ai quali i governi del futuro potranno rifarsi, in occasione di nuove emergenze, che non mancano mai. Qualsiasi vincolo di bilancio è saltato. Conta poco che arrivino risorse «a fondo perduto» da Bruxelles: non è che debito europeo, al quale saremo chiamati a contribuir­e. È stato ampliato il campo d’applicazio­ne del «golden power»: per «proteggere» le imprese italiane, si impedisce ai loro proprietar­i di disporne come desiderano. Nel mentre, la Cassa Depositi e Prestiti è diventata «il più importante investitor­e in Borsa in Italia».

Durante il primo lockdown, abbiamo sospeso il diritto di culto mentre ora diciamo ai preti qual è l’ora in cui possono dir messa.

Governare è sempre difficile, in momenti come questo lo è ancora di più. Però bisognereb­be intendersi almeno sugli obiettivi. Da uno Stato di diritto ci si aspettereb­be che provi a mitigare gli effetti della pandemia provando a lasciare quanta più «normalità» possibile ai cittadini. L’impression­e è che invece si consideri la vita delle persone come qualcosa nella piena disponibil­ità dei governanti. Non a caso in molti hanno guardato, sin da principio, all’esempio cinese.

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