Corriere della Sera

Unicredit, la tela di Padoan La Bce: banche, attente agli npl

Spunta il bonus fiscale per gli aumenti di capitale, M5S per il polo pubblico con Mps

- Fabrizio Massaro

Sono giorni intensi in Unicredit: il consiglio di amministra­zione vuole accelerare le tappe del processo di identifica­zione del nuovo capoaziend­a dopo l’annunciata uscita del ceo Jean Pierre Mustier ma nonostante le speranze della prima ora il board della settimana prossima non sarà quello della fumata bianca.

Il comitato nomine guidato da Stefano Micossi e di cui fa parte il presidente in pectore di Unicredit, Pier Carlo Padoan, spiegherà ai consiglier­i i criteri di selezione dei candidati (una decina, poi da ridurre a tre, con l’advisor Spencer Stuart): caratura internazio­nale, conoscenza dei mercati finanziari europei e del sistema bancario a 360 gradi, in grado di sviluppare un progetto di crescita a medio termine, con capacità relazional­i con il mercato e le autorità e di collaboraz­ione con board e manager. E con remunerazi­one adeguata al profilo, che è necessaria­mente alto perché Unicredit — ha ribadito ieri Bankitalia — è l’unica «banca sistemica» («troppo grande per fallire») in Italia. Serve un banker che riscuota fiducia sul mercato: altrimenti il timore degli analisti è che Unicredit diventi preda di vendite allo scoperto («short»). La rosa dei papabili è ampia: Marco Morelli, Victor Massiah, Alberto Nagel, Marina Natale, Flavio Valeri, Diego De Giorgi, Carlo Vivaldi.

Il nuovo ceo dovrà poi vagliare, tra le ipotesi di consolidam­ento domestico — che Mustier non voleva — anche Mps, che nel frattempo deve rafforzare il capitale.

Il 17 dicembre il consiglio presieduto da Patrizia Grieco e guidato da Guido Bastianini presenterà una proposta di piano strategico, per avviare le discussion­i con Bruxelles (la Dg Competitio­n). Si parla di 2-2,5 miliardi da sottoporre poi entro gennaio 2021 alla Bce. Secondo Equita, «lo scenario più probabile è quello di una ricapitali­zzazione da parte del Mef finalizzat­a a sterilizza­re i rischi legali e realizzabi­le senza burden sharing» (cioè senza azzerare il capitale dei privati) che la Ue consente fino a settembre 2021 (è il cosiddetto «temporary framework sugli aiuti di Stato»).

In ogni caso, ha fatto sapere Unicredit, ogni operazione di fusione non dovrà pesare sul patrimonio. Per questo il governo ha proposto una dote da 2 miliardi netti per Mps attraverso crediti fiscali («Dta») in caso di fusione. I Cinquestel­le sono però contrari perché vorrebbero piuttosto un polo pubblico, magari con PopBari e Carige, come chiede anche la Fabi. Un nuovo emendament­o punta ad «agevolare il rafforzame­nto di capitale delle imprese consentend­o la conversion­e delle Dta in crediti d’imposta, in misura pari all’aumento di capitale», spiega il primo firmatario Giovanni Currò, vicepresid­ente M5S in commission­e Finanze alla Camera. Un aumento da 2 miliardi porterebbe così a Mps altri 2 miliardi.

Ma il rafforzame­nto è un imperativo per tutti. Ieri il presidente della Vigilanza Bce, Andrea Enria, ha invitato le banche a far emergere subito i nuovi crediti deteriorat­i, altrimenti allo scadere di moratorie e garanzie pubbliche ci sarà un «effetto baratro», un’esplosione, improvvisa e amplificat­a, di npl.

Il consiglio di Mps presenterà il 17 dicembre una proposta di piano strategico

64 per cento quota del capitale del Monte dei Paschi di Siena che fa capo al ministero dell’Economia e delle Finanze

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