Timmermans: «Recovery fund, l’Italia sa quello che deve fare»
Intervista al vicepresidente della Commissione Ue: il no di Polonia e Ungheria? Procedano gli altri Stati
L’Europa è pronta sul Recovery fund, «l’Italia sa cosa fare». Il vicepresidente della Ue al Corriere.
«Spero che sul Recovery Fund troveremo una soluzione tra i 27 Paesi, ma se non sarà così troviamo una soluzione a 25». Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Ue con delega al Green Deal, cuore romanista, ha il pragmatismo degli olandesi e la sensibilità della famiglia socialista a cui appartiene: «Non possiamo uscire da questa crisi senza solidarietà». Con il Corriere fa il bilancio di un anno in cui tutto è cambiato.
Come saranno le relazioni Ue-Usa sul clima con il nuovo presidente Joe Biden, che ha nominato John Kerry inviato presidenziale per il clima?
«È una svolta, ma non soltanto sul clima. Per 50 anni gli Usa hanno considerato importante avere un’Europa unita e forte. Invece il presidente Donald Trump ha pensato che fosse nell’interesse degli Stati Uniti avere un’Europa fragile, spaccata. Ora c’è un presidente che è tornato alla posizione americana tradizionale. Sul clima ha già annunciato la buonissima notizia che rientrerà negli accordi di Parigi. John Kerry, siamo amici da tanto tempo, è stato uno degli architetti di quegli accordi. È un buon inizio per preparare con gli americani la Cop di Glasgow (novembre 2021, ndr). Ma anche altri hanno cambiato politica ambientale: i cinesi hanno annunciato la neutralità carbonica per il 2060, i giapponesi per il 2050 così come la Corea del Sud e il Sudafrica. Il movimento si sta allargando e insieme agli Usa possiamo veramente cambiare le cose».
La Commissione compie un anno. Sono stati mesi difficili. La pandemia ha gettato l’Europa in una crisi profonda. Ma il Green Deal resta il cuore della ripresa. Qual è il suo bilancio?
«Se penso a quest’anno mi vengono in mente soprattutto le sofferenze, i medici e gli infermieri che sono i veri eroi di questo tempo. Poi penso alla responsabilità che abbiamo di ricostruire l’economia e la società in maniera solidale e nel rispetto dell’ambiente.
Siamo aiutati dal fatto che c’è una consapevolezza quasi totale nel mondo dell’industria: per questo il Green Deal è diventato anche il progetto alla base della ricostruzione europea dopo la crisi. I cittadini vedono il cambiamento climatico e ci spingono a intervenire. Abbiamo bisogno della legge sul clima per dare certezza. Anche le Pmi ci chiedono stabilità. Per questo è importante che giovedì il Consiglio europeo trovi un accordo sul taglio del 55% delle emissioni al 2030».
Il Recovery Fund sarà vittima dei veti di Ungheria e Polonia?
«L’accordo sullo stato di diritto trovato tra il Consiglio e il Parlamento Ue è forte e chiaro: dobbiamo poter dire ai cittadini europei, perché sono loro i soldi messi sul tavolo, che questi fondi saranno usati bene per progetti utili, controllati, che non ci sarà corruzione. Chi è contrario mostra una mancanza di solidarietà enorme. Devo anche dire che la destra radicale che c’è in Italia e che vede in Victor Orbán un alleato dovrà spiegare che è il suo alleato che sta creando difficoltà e potrebbe non renderci possibile dare il sostegno di cui gli italiani hanno bisogno. Il Consiglio europeo ha dimostrato solidarietà con l’accordo di luglio. Ora due Stati membri lo stanno bloccando perché non vogliono un controllo sullo Stato di diritto. Spero si trovi una soluzione, la cancelliera Merkel ci sta lavorando».
Se non si trova un accordo su bilancio e Recovery Fund, il Green Deal sarà a rischio?
«Spero che sul Recovery Fund troveremo una soluzione tra i 27 Paesi, ma se non sarà così troviamo una soluzione a 25. Senza accordo non è solo il Green Deal a preoccuparmi ma in generale la possibilità di uscire dalla crisi».
A marzo in Olanda si vota. Questo rallenterà la ratifica delle nuove risorse proprie?
«Sono sicuro di no. Ho il cuore in due Paesi, sono olandese ma mi sento a casa mia anche in Italia. Noi abbiamo i nostri populisti e voi i vostri. Ma dopo l’intesa di luglio il premier Mark Rutte ha avuto una maggioranza larghissima in Parlamento sull’accordo. C’è un sostegno molto forte e non credo cambierà».
La svolta
La svolta di Biden è molto importante, gli Stati Uniti rientreranno negli accordi di Parigi. Con Kerry siamo amici da tanto tempo
La destra radicale
La destra radicale che in Italia vede in Orbán un alleato dovrà spiegare che l’alleato potrebbe non renderci possibile aiutare gli italiani
Ci sarà l’accordo sulla legge sul Clima?
«Gli Stati membri hanno capito. C’è un dialogo costante con loro e vedo disponibilità ad accettare il nuovo obiettivo del 55% per il 2030. Anche i polacchi hanno accettato la neutralità climatica per il 2050 e discutono costruttivamente sull’obiettivo per il 2030 . Poi starà a noi spiegare cosa significa attraverso le proposte che presenteremo nel 2021. Sono abbastanza ottimista».
La nuova Politica agricola europea sta creando polemiche tra gli ambientalisti. Si poteva fare di più?
«Possiamo ancora fare di più. Mi sono impegnato personalmente nel negoziato con il Consiglio e il Parlamento Ue. Penso che la posizione del Consiglio non basti per attuare il Green Deal, quella del Parlamento va più nella giusta direzione. Sono gli agricoltori che vedono ogni giorno le conseguenze del cambiamento climatico, dobbiamo aiutarli a cambiare. No possiamo farlo senza gli agricoltori. Gli ambientalisti mi dicono che la Commissione dovrebbe ritirare la proposta ma per farlo bisogna avere un’alternativa migliore e questa oggi non c’è. Possiamo trovare un buon accordo».
Quali sono le priorità green dell’Italia per il Recovery?
«Sarà l’Italia a decidere. Questo governo saprà certamente scegliere ciò che è meglio fare per l’Italia. Una potenza industriale come l’Italia sa esattamente come introdurre un’economia circolare, cosa fare per la transizione energetica, per sviluppare l’idrogeno, sa che i cittadini vogliono trasporti puliti per le città. In Italia c’è un livello scientifico e industriale molto alto che permetterà di mettere a punto progetti che potranno essere di esempio anche per altri Paesi».
Si parla di riformare Schengen. È la risposta per un’Europa più sicura?
«Ora stiamo lavorando intensamente per migliorare la protezione delle frontiere esterne. Gli euroscettici diranno che bisogna rialzare i confini interni ma questo avrebbe un impatto negativo sulla nostra vita e sull’economia. La sfida del terrorismo non viene solo da coloro che vogliono entrare in Europa ma anche da giovani che sono nati qui: bisogna lavorare profondamente sull’educazione e spiegare cosa vuol dire libertà di espressione, libertà di religione, il rispetto delle differenze».