«Mustier va via, ma non per Mps»
«La politica non c’entra. Risponderò ai soci e all’azienda»
Mustier via da Unicredit non per Mps. Intervista al presidente designato Pier Carlo Padoan.
Per Carlo Padoan, ex ministro dell’Economia, il primo mese e mezzo nel consiglio d’amministrazione di Unicredit è stato più intenso di quanto forse lui stesso si aspettasse. Lunedì si è consumata la rottura fra il consiglio e l’amministratore delegato Jean-Pierre Mustier, che lascerà in aprile. Padoan, destinato al ruolo di presidente, ha su di sé gli occhi del Paese e dei mercati internazionali che cercano di capire quale direzione prenderà la banca.
L’uscita Mustier rende più facile un’integrazione di Monte dei Paschi in Unicredit?
«Non direi proprio. Il Monte dei Paschi non ha avuto alcun ruolo nella decisione di Mustier di uscire da Unicredit al termine del mandato in corso. E peraltro la sua decisione non cambia in alcun modo la posizione della banca rispetto a qualsiasi operazione in merito»”.
Allora cos’ha spinto il consiglio a ritirare la fiducia all’amministratore delegato?
«Non ha ritirato la fiducia all’amministratore delegato, che infatti resta al suo posto fino a fine mandato. Ci stiamo avvicinando alla scadenza naturale del consiglio ed era necessario definire in primo luogo la posizione dell’amministratore delegato. Le priorità sulle quali la banca dovrà focalizzarsi e le diversità di opinioni fra Mustier e il consiglio, richiamate da lui stesso, lo hanno portato alla decisione di non proseguire con un altro mandato».
Quali “diversità di opinioni”?
«Essenzialmente sui passi da prendere per la strategia di integrazione fuori dall’Italia. Non sono in discussione le strategie, su cui siamo d’accordo. È sulle modalità che erano emerse visioni diverse».
Lei sarebbe d’accordo con l’idea di creare una holding separata in Germania per tutte le attività tedesche e per quelle d’Europa centrorientali, in modo da segregare un eventuale “rischioItalia” e facilitare così aggregazioni all’estero?
«Il quadro è complesso e richiede vari approfondimenti. Unicredit è una banca paneuropea. Crediamo molto nel processo di integrazione europea, quindi anche nell’Unione bancaria. Ciò richiede più integrazione e più fiducia reciproca fra Paesi. Senza questi fattori, eventuali accordi potrebbero avere vita breve e comunque non costruirebbero valore per tutti gli stakeholder coinvolti: dagli azionisti ai dipendenti».
La preoccupa che il volume dei prestiti di Unicredit e i ricavi da margini d’interesse in Italia siano scesi, mentre il ritardo su Intesa Sanpaolo è cresciuto?
«Unicredit, come tutto il sistema bancario, soffre delle conseguenze del Covid. Ma ha già dimostrato, come e più di altre banche, una solidità di fondo e una capacità di reazione che permette di guardare al futuro con fiducia e con un forte impegno di crescita. Una volta insediato il nuovo consiglio e il nuovo amministratore delegato, ragioneremo sul modello di business e sui fattori che possono rafforzare la redditività della banca».
Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha dichiarato dopo l’annuncio su Mustier: “Il mercato ha fatto capire che quando ci sono presunte interferenze di natura politica, queste non piacciono”. Condivide?
«Certamente le interferenze della politica, vere o presunte, possono solo nuocere. Non solo a una banca e alle banche: anche al Paese nel suo complesso, soprattutto in una fase difficile come questa. Ma nelle decisioni prese da Unicredit, le interferenze di natura politica non hanno avuto alcun ruolo. Né per quanto riguarda le nomine delle figure di vertice, né per i dossier portati al vaglio del consiglio. Per essere chiaro: il fatto che io in passato abbia ricoperto cariche di governo non significa in nessun modo che io sia in Unicredit per rappresentare istanze della politica. Né sulle acquisizioni, né sulle altre scelte strategiche. La mia responsabilità è verso gli azionisti e l’azienda».
Eppure lei sa come la ritraggono: un ex ministro dell’Economia, di un partito di maggioranza, mandato in Unicredit per far pesare le preferenze del governo. Se lo aspettava?
«Sul merito ho già risposto. Poi, naturalmente, c’è la narrazione. E sì: mi aspettavo che una parte dell’opinione pubblica, non solo italiana, avrebbe costruito una storia superficiale e fuorviante. Come ho detto, la mia nomina non ha avuto minimamente a che fare con spinte politiche. La governance di Unicredit rispetta le best practice internazionali. E il processo che ha portato alla mia selezione è stato rigoroso e trasparente, gestito da una task force di quattro consiglieri indipendenti».
Quando si è saputo che l’amministratore delegato non rinnoverà per disaccordi con il consiglio, il titolo della banca ha perso il 10,6% in due giorni. Come se lo spiega?
«È stata una reazione alla sorpresa di un annuncio inatteso. Nel medio periodo sono i fondamentali a guidare la quotazione. E i fondamentali sono solidi».
Nel consiglio di domenica scorsa, secondo il Financial Times, lei avrebbe detto a Mustier che, anziché guardare a operazioni all’estero e tagliare i costi, Unicredit dovrebbe
puntare di più sul mercato italiano. È così che la pensa?
«Io questa frase non l’ho mai pronunciata».
Ma sul merito?
«Ho già risposto. Unicredit è una banca italiana con una profonda vocazione europea e questa strategia non è mai stata in discussione».
Quanto pesa il debito pubblico, i titoli di Stato per 44,9 miliardi che avete in bilancio e la possibilità in prospettiva di un declassamento dell’Italia a “junk”, sulla capacità di Unicredit di essere protagonista di acquisizioni in Europa? C’è un rischioItalia che limita la capacità delle aziende di essere protagoniste di aggregazioni all’estero?
«Il rischio Italia penalizza tutti, quindi anche le singole imprese. Le banche non possono fare eccezione. Per far calare questo rischio è necessario che il Paese metta in campo le politiche di crescita che oggi sono assolutamente alla nostra portata, grazie anche al nuovo quadro europeo. A quel punto, con una crescita del Paese più sostenuta e sostenibile, le banche potranno lavorare ancora meglio a beneficio sia dei clienti che degli azionisti».
Quali caratteristiche dovrebbe avere l’amministratore delegato che prenderà il posto di Mustier?
«Un forte standing internazionale, conoscenza consolidata del sistema bancario, leadership inclusiva e visione strategica».
Ci sarebbero sorpresa e una certa irritazione presso la vigilanza alla Banca centrale europea per il carattere improvviso dell’annuncio su Mustier. È anche la sua impressione?
Il nuovo ad dovrà avere forte standing internazionale e visione strategica
«I rapporti con la Bce sono stati e continuano ad essere molto cordiali e collaborativi. La Bce ha sempre rilevato la necessità di agire con la massima trasparenza e di comunicare con chiarezza le decisioni che la banca assume. È quel che abbiamo fatto e continueremo a fare».