Corriere della Sera

I timori tra i ministri per «l’incidente» E Franceschi­ni avvisa: se succede crolla tutto

A Palazzo Chigi si sospetta che Iv inventi una «trappola parlamenta­re» I renziani contrari alla squadra per il Recovery: in Cdm pronti a dire no

- di Monica Guerzoni

L’appello dai colori un po’ cruenti con cui Luigi Di Maio l’altra notte implorava i dissidenti del Movimento a «non portare Conte al patibolo» ancora risuona nelle stanze di Palazzo Chigi, che mai come in questo fine settimana si trova sotto il fuoco amico dei partiti. Il voto di mercoledì nell’aula del Senato sulla riforma del Mes fa paura, per quanto il premier continui a esorcizzar­lo assicurand­o che no, il governo non cadrà. Anche grazie all’«azione di sensibiliz­zazione» interna condotta da Di Maio per ripescare i più inquieti tra i ribelli.

La preoccupaz­ione però resta e non è solo nello psicodramm­a senza fine dei 5 Stelle, ma nell’insofferen­za crescente dei leader verso le scelte (e le scelte mancate) del capo dell’esecutivo. In un clima avvelenato da rivalità e gelosie, molte delle quali innescati dai 209 miliardi del Recovery, tra i ministri è tornato a girare il mantra che il capo delegazion­e del Pd, Dario Franceschi­ni, è solito scandire nei momenti difficili per allontanar­e lo spettro della crisi: «Quando il quadro è troppo fragile basta un incidente parlamenta­re per far crollare tutto, anche oltre la volontà di chi lo ha provocato».

In piena pandemia, con i consensi in calo e dentro uno scenario a così alto rischio, se davvero volessero difendere il governo i leader delle forze politiche dovrebbero fare da scudo al presidente del Consiglio. E invece, ecco che Nicola Zingaretti, fino a qualche tempo fa il più solido alleato di Conte, rispolvera echi di andreottia­na memoria e avverte che governare non può essere «tirare a campare». Ecco che Matteo Renzi invoca «un salto di qualità» e sulla Stampa si porta avanti, quasi sperando che il giurista pugliese scivoli sul Mes: «Se il 9 Conte va sotto si deve dimettere». Raccontano fonti di governo che il pressing sul fondatore di Italia viva è già partito e andrà avanti fino all’ingresso mercoledì nell’aula di Palazzo Madama. Uno dopo l’altro segretari e ministri proveranno a convincere il senatore di Rignano che il Quirinale non vede subordinat­e, «se si apre la crisi l’unica strada sono le urne».

Se questa insistente moral suasion è rivolta a Renzi almeno quanto ai più agitati tra i senatori del M5S, è perché nella squadra di Conte serpeggia il timore che il leader di Italia viva possa «inventarsi qualche trappola parlamenta­re». Tre giorni fa i soliti sospetti erano caduti sul capogruppo del Pd Andrea Marcucci, per via della lettera dalle 25 firme in calce con cui chiedeva al premier di consentire i ricongiung­imenti familiari sotto Natale. Ne era nato un caso, perché c’è chi

Avvertimen­ti a Renzi

Pressing sul leader di Iv per il voto sul Mes: se Conte va sotto ci sono solo le urne

pensa che Marcucci sia pronto a lasciare il Pd per Italia viva. E il punto adesso è, cosa starebbero architetta­ndo i renziani? «Matteo non vuole essere l’assassino di Conte e cerca l’incidente — suggerisce un dem al governo —. Non gli basta un ministro in più con il rimpasto, vuole sedersi al tavolo quando ci sarà da ridetermin­are i nuovi equilibri per impostare l’Italia del futuro». Con i soldi del Recovery.

Insomma, la grande paura del fronte governativ­o è che Renzi possa approfitta­re della spaccatura nei 5 Stelle. Basterebbe che, al momento di scrivere la risoluzion­e di maggioranz­a, Italia viva si battesse per inserire nel testo la richiesta di fare subito ricorso al Mes per prendere i 37 miliardi del fondo pandemico: una formula capace di dilaniare il Movimento e far mancare i voti in Aula. E forse non è un caso se proprio ieri Marcucci ha ricordato agli alleati (e ai dissidenti) che «il Mes serve, il Pd non ha cambiato idea» e respingerl­o avrà «conseguenz­e inevitabil­i».

Mine che rischiano di deflagrare già nel Consiglio dei ministri di domani, quando bisognerà votare l’emendament­o alla legge di Bilancio sulla tanto discussa governance del Recovery. Teresa Bellanova, capo delegazion­e di Iv, è pronta a esprimersi contro e a lasciare agli atti il suo dissenso. Al tavolo di maggioranz­a ieri sulle riforme socio-economiche Maria Elena Boschi e Luigi Marattin hanno alzato la voce, a dir poco seccati per aver scoperto da un’intervista i dettagli del Recovery su cui domani Conte chiederà il via libera ai suoi ministri. «Dobbiamo leggerlo sui giornali che lunedì si approva il Recovery? — è stato il gelido buongiorno dei renziani al capo di Gabinetto del premier, Alessandro Goracci —. Noi voteremo contro». Insomma, Italia viva mostra una gran fretta di «uscire dalla palude» perché, come Renzi non fa che ripetere, per l’Italia i miliardi dell’Europa sono «l’ultimo giro di orologio». O il governo cambia passo, o il Paese rischia. E Conte pure.

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Il premier Giuseppe Conte, 56 anni; Luigi Di Maio, 34 anni, M5S, ministro degli Esteri; Dario Franceschi­ni, 62 anni, Pd, ministro della Cultura (Imagoecono­mica)
Capidelega­zione Il premier Giuseppe Conte, 56 anni; Luigi Di Maio, 34 anni, M5S, ministro degli Esteri; Dario Franceschi­ni, 62 anni, Pd, ministro della Cultura (Imagoecono­mica)

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