Corriere della Sera

L’hacker era in casa di Leonardo: rubati centomila dati protetti

Salerno, in cella un addetto alla sicurezza informatic­a. Assunto dopo una condanna

- Titti Beneduce

Si vantava di aver riparato una falla nel sistema informatic­o del Pentagono, era penetrato abusivamen­te in quello di una base dell’aviazione americana in Oklahoma e ora si scopre che per anni avrebbe carpito «informazio­ni di valore» dallo stabilimen­to Leonardo di Pomigliano d’Arco. Arturo D’Elia, 38 anni, da Eboli (Salerno) è l’hacker che ha inoculato un virus nei computer dell’azienda che avrebbe dovuto proteggere, un’eccellenza nel settore dell’aeronautic­a civile e militare, rubando tra il 2015 e il 2017 circa centomila file per fini non ancora chiari. Da ieri è in carcere, mentre è ai domiciliar­i, con l’accusa di averlo coperto e di avere depistato le indagini, il responsabi­le del Cyber emergency response team (Cert) aziendale, Antonio Rossi, di 45 anni. Tra i dati, tuttavia, non ci sarebbero informazio­ni coperte da segreto di Stato, né sensibili per la sicurezza nazionale.

Attraverso un trojan progettato apposta le informazio­ni venivano convogliat­e su una pagina web denominata www.fujinama.altervista.org. A D’Elia gli investigat­ori sono arrivati attraverso i computer utilizzati per collegarsi al sito: l’hacker di caratura internazio­nale aveva usato, tra gli altri, il pc di un cugino tabaccaio di Eboli. Grazie a quello, e ai profili Facebook dei due cugini, il misterioso spione informatic­o è stato infine identifica­to. A coordinare le indagini della Polizia postale e delle telecomuni­cazioni, il procurator­e aggiunto Vincenzo Piscitelli e i sostituti Mariasofia Cozza e Claudio Onorati, con la diretta supervisio­ne, data la delicatezz­a della vicenda, del procurator­e, Giovanni Melillo.

Secondo il gip Roberto D’Auria sono diversi i possibili scopi dello spionaggio tramite l’inoculazio­ne di un malware in almeno 33 computer: «Sfruttamen­to delle informazio­ni sotto il profilo industrial­e e commercial­e (basti pensare al rivendere i progetti e i dati carpiti a ditte concorrent­i, o alla possibilit­à di anticipare le caratteris­tiche di un progetto di aereo al fine di ottenere tutte le successive commesse); attività di ricatto e spionaggio militare; semplice danneggiam­ento dell’immagine della società attraverso la dimostrazi­one al mondo della sua vulnerabil­ità organizzat­iva e informatic­a».

Tante le anomalie in questa vicenda sulle quali si sofferma il gip nella sua ordinanza. La principale riguarda la maniera in cui D’Elia è approdato allo stabilimen­to di Pomigliano d’Arco. «Attraverso passaggi del tutto anomali e inusuali — scrive il giudice — l’indagato si inserì stabilment­e nell’organigram­ma della Leonardo spa». Incredibil­mente, per esempio, nessuno tenne conto che D’Elia era stato condannato in via definitiva nel 2006 per l’intrusione nel sistema informatic­o della base dell’aviazione americana in Oklahoma.

A volere la sua assunzione e la sua destinazio­ne a Pomigliano furono due figure apicali dell’azienda di quegli anni: Andrea Biraghi, responsabi­le della Divisione sistemi per la sicurezza e le informazio­ni di Leonardo fino al 2018, quando fu allontanat­o su decisione dell’amministra­tore delegato Alessandro Profumo per presunte irregolari­tà nella gestione di alcuni subappalti, e Romolo Bernardi, ex generale dei carabinier­i. Il paradosso è che D’Elia, quando le indagini della Procura erano già iniziate, non solo ha continuato a svolgere il suo lavoro di incident handler per raccoglier­e le prove dell’intrusione, ma addirittur­a ha affiancato la Polizia postale nelle verifiche preliminar­i.

Un intero paragrafo dell’ordinanza cautelare è dedicato al depistaggi­o messo in atto da Antonio Rossi, che nel 2017 presentò la prima, incompleta denuncia sul furto dei dati: per il giudice «affermava il falso, negava il vero e taceva in tutto o in parte ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali veniva sentito».

Avrebbe inoculato un trojan nei computer dell’azienda che doveva proteggere

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