Industria al bivio, sfida in 9 punti
Le strade per resistere alla crisi: dalla produzione all’export, le questioni aperte e le idee Su «L’Economia» domani gratis in edicola con il «Corriere»
Qual è lo stato di salute dell’industria italiana? E quale sarà la cartella clinica dopo il Covid? Il bollettino segna qualche linea di febbre, ma questa non è una notizia. Più interessante vedere le tendenze forti, le nuove direttrici di un settore che è alla prova del nove. Traccia il quadro Dario Di Vico che su L’Economia del Corriere della Sera — in edicola domani gratis con il quotidiano — individua, appunto, in nove punti le domande cruciali (e le risposte) per la ripresa del Paese, partendo dall’ultimo rapporto del Centro
studi Confindustria. Ed eccoli, i nervi scoperti dell’industria italiana. La produzione, innanzitutto: sta tornando dall’estero in patria, vero, ma andrà indirizzata, per ora è in ordine sparso. La globalizzazione, poi: sta frenando, certo, ma che dire delle politiche di un’Antitrust Ue che va controcorrente bloccando le fusioni intraeuropee? Andranno forse riviste. La selezione,
ancora: andrà guidata, perché finora più che generare aggregazioni sta polarizzando il mercato, uccidendo i più piccoli. E poi sono sul piatto le contraddizioni dell’export, che tiene ma non necessariamente per il fascino del made in Italy; la troppa liquidità sui conti delle imprese; il rischio di far circolare degli zombie con i prestiti garantiti dallo Stato; la corsa alla sostenibilità
che è virtuosa, certo, ma si accoppia anche a una certa difficoltà sui brevetti; il peso, infine, delle scelte individuali: perché, come spesso accade, «i comportamenti micro faranno la differenza», scrive Di Vico, citando Fabiano Schivardi, vicerettore della Luiss.
È chiaro che s’impone anche il tema dei salvataggi pubblici, quando c’è una crisi. L’Economia lo affronta con
due casi opposti, l’Ilva e Mediaset. La più grande acciaieria d’Europa, ancora al bivio, è raccontata attraverso il ritratto di Lucia Morselli, la manager che guida in Italia l’acquirente Arcelor Mittal — cioè l’Ilva, appunto: la poltrona più scomoda dell’industria nazionale — e si prepara all’accordo con lo Stato: guida la Ferrari, giudica i manager dalle scarpe come Cesare Romiti («Se non sono comode, non faranno strada») ed è in tutti i board caldi a partire da Atlantia. Del Biscione invece, dopo la tentata scalata da parte di Vivendi e la frenata pubblica motivata con la difesa dell’italianità, vengono analizzati i bilanci. Sorpresa, il gruppo risulta solido e liquido, più del 2008 dell’altra crisi. Un salvataggio, forse, non gli serve.
Tra i personaggi c’è Giuseppe Vicenzi, il pasticcere d’Italia: questo è ciò che voleva diventare a otto anni il presidente dell’azienda veronese, che ha raddoppiato la vendita dei savoiardi in aprile, con il lockdown. Ora cerca un socio estero. Ma c’è anche Gian Pietro Beghelli del Salvalavita: ha un’altra invenzione, il SanificaAria. E c’è Emilio Petrone, a cui L’Economia dedica la copertina: è l’amministratore delegato di Sisalpay che sta per diventare Mooney. Grande affare: i pagamenti digitali.
Per restare alla finanza, quella tradizionale però, sul settimanale si racconta l’ultimo valzer dei banchieri, dopo l’uscita di scena di Jean Pierre Mustier, il ceo di Unicredit (costata miliardi al titolo in Borsa). Nella sezione Risparmio trovate poi le regole per pagare l’Imu senza sbagliare.
Mister Beghelli inventa l’Ammazzavirus, il ritratto di Lucia Morselli (Ilva)