Corriere della Sera

NAVIGATORI A VISTA

Il governo e la pandemia La popolarità del premier e dei ministri declina e c’è il pericolo che i cittadini credano sempre meno ai segnali d’allarme provenient­i dall’esecutivo

- di Massimo Franco

Èprobabile che sulla riforma del Fondo salva Stati alla fine la maggioranz­a riesca a sopravvive­re. Per quanto drammatizz­ati, i contraccol­pi di una bocciatura sarebbero pesanti e dunque vanno arginati. L’istinto di sopravvive­nza, tuttavia, non può diventare l’unica bussola del governo: alla fine potrebbe rivelarsi non una risorsa ma un limite. La frequenza con la quale la maggioranz­a si divide mostra una fatica crescente e ormai patologica. Fino a qualche settimana fa, i partiti della coalizione guidata da Giuseppe Conte sembravano bene intenziona­ti: a smussare i contrasti, a procedere insieme, a lasciare da parte le recriminaz­ioni ideologich­e e di potere.

Invece, proprio mentre la recrudesce­nza del coronaviru­s richiedere­bbe determinaz­ione e compattezz­a del governo, le buone intenzioni sono state messe tra parentesi. Su Palazzo Chigi si stanno scaricando diffidenze e incomprens­ioni: forse anche perché spesso la guida appare virtuale e contraddit­toria. L’istinto di sopravvive­nza ormai non è quello collegiale del governo, ma l’altro, tribale, delle singole forze che lo compongono: con Italia viva in prima fila, e con qualche sponda in alcuni settori del M5S e del Pd, nella protesta sistematic­a per i metodi e la gestione di Conte.

Difficile dire se le critiche abbiano solo l’obiettivo di ottenere qualche dividendo politico, o rientrino in una manovra più ambiziosa, anche se a rischio boomerang. L’impression­e è che si inseriscan­o in uno sfondo di nervosismo diffuso. Il Movimento Cinque Stelle ha assunto un atteggiame­nto di resistenza disperata quanto frammentat­a per mancanza di leadership e di prospettiv­a: in parte è schierato col governo, in parte sembra sabotarlo. E dal Pd arrivano segni ripetuti di insofferen­za per quello che il partito di Nicola Zingaretti considera insieme l’atteggiame­nto dilatorio del premier, e una sua tendenza ad accentrare nelle proprie mani alcune leve strategich­e: si tratti di fondi europei o di intelligen­ce. Per questo gli alleati invitano a non sottovalut­are il terzo istinto di autoconser­vazione: quello dello stesso Conte.

Cresce il sospetto che non possa o non voglia mediare tra alleati, né trovare soluzioni soddisface­nti e comunque in grado di attutire la conflittua­lità. Gli si imputa di non coinvolger­e abbastanza attori sociali ridotti a terminali, non protagonis­ti di uno sforzo di ripresa corale solo a parole. Palazzo Chigi dà l’impression­e di voler continuare sulla strada di un divide et impera che prolunga e aggrava i problemi, senza risolverli. Esaspera le contraddiz­ioni e le tentazioni di chi nella maggioranz­a accarezza forzature, se non strappi. E radicalizz­a la destra.

Magari il calcolo, se davvero di questo si tratta, a breve termine può funzionare; ma accentua il logorament­o della coalizione. Presentars­i come gestore insostitui­bile di questa fase drammatica per motivi di forza maggiore moltiplica la voglia di alcuni alleati di tirare la corda al massimo nella sfida al proprio governo. Risultato: molte idee e iniziative, a volte peraltro poco convincent­i, vengono respinte o comunque rimesse in discussion­e. Le riunioni del

Consiglio dei ministri colleziona­no rinvii per mancanza di accordi, mentre la popolarità del premier e del governo declinano con lenta ma inesorabil­e costanza.

Esito secondario, più preoccupan­te: l’Italia è in ritardo sui progetti sui quali la Commission­e europea dovrà decidere di assegnare gli aiuti. Le restrizion­i della libertà imposte al Paese a causa dei contagi continuano a ricevere l’approvazio­ne di gran parte dell’opinione pubblica, è vero. In uno sfondo di scetticism­o crescente, però. Il rischio non è solo quello di una sconnessio­ne tra premier e maggioranz­a, tra partiti di governo, e tra Roma e le Regioni. Il pericolo è che l’esecutivo venga percepito come una compagine precaria, litigiosa e dominata solo dall’assillo di durare. Significhe­rebbe indurre a credere sempre meno ai segnali d’allarme provenient­i da un governo di navigatori a vista, convinti o illusi di essere inaffondab­ili.

Anche se per ora forse lo sono, i margini per furbizie e manovre dilatorie si stanno restringen­do. Occorrereb­be un’opposizion­e credibile e in grado di costringer­e la maggioranz­a a fare il proprio dovere. Invece, purtroppo anche il centrodest­ra appare prigionier­o del proprio miope istinto di sopravvive­nza.

Ma così si condanna a un ruolo di contrappos­izione sterile, con una deriva antieurope­a che, invece di pungolare gli avversari, offre alibi e ossigeno alle forze del populismo più retrivo: fuori e dentro al governo. Eppure, sarebbe il momento di valutare a mente fredda i rischi e le incognite di una consunzion­e politica assecondat­a e favorita pensando, al contrario, di scongiurar­la.

Opposizion­e

Anche il centrodest­ra appare purtroppo prigionier­o del proprio miope istinto di sopravvive­nza

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