NAVIGATORI A VISTA
Il governo e la pandemia La popolarità del premier e dei ministri declina e c’è il pericolo che i cittadini credano sempre meno ai segnali d’allarme provenienti dall’esecutivo
Èprobabile che sulla riforma del Fondo salva Stati alla fine la maggioranza riesca a sopravvivere. Per quanto drammatizzati, i contraccolpi di una bocciatura sarebbero pesanti e dunque vanno arginati. L’istinto di sopravvivenza, tuttavia, non può diventare l’unica bussola del governo: alla fine potrebbe rivelarsi non una risorsa ma un limite. La frequenza con la quale la maggioranza si divide mostra una fatica crescente e ormai patologica. Fino a qualche settimana fa, i partiti della coalizione guidata da Giuseppe Conte sembravano bene intenzionati: a smussare i contrasti, a procedere insieme, a lasciare da parte le recriminazioni ideologiche e di potere.
Invece, proprio mentre la recrudescenza del coronavirus richiederebbe determinazione e compattezza del governo, le buone intenzioni sono state messe tra parentesi. Su Palazzo Chigi si stanno scaricando diffidenze e incomprensioni: forse anche perché spesso la guida appare virtuale e contraddittoria. L’istinto di sopravvivenza ormai non è quello collegiale del governo, ma l’altro, tribale, delle singole forze che lo compongono: con Italia viva in prima fila, e con qualche sponda in alcuni settori del M5S e del Pd, nella protesta sistematica per i metodi e la gestione di Conte.
Difficile dire se le critiche abbiano solo l’obiettivo di ottenere qualche dividendo politico, o rientrino in una manovra più ambiziosa, anche se a rischio boomerang. L’impressione è che si inseriscano in uno sfondo di nervosismo diffuso. Il Movimento Cinque Stelle ha assunto un atteggiamento di resistenza disperata quanto frammentata per mancanza di leadership e di prospettiva: in parte è schierato col governo, in parte sembra sabotarlo. E dal Pd arrivano segni ripetuti di insofferenza per quello che il partito di Nicola Zingaretti considera insieme l’atteggiamento dilatorio del premier, e una sua tendenza ad accentrare nelle proprie mani alcune leve strategiche: si tratti di fondi europei o di intelligence. Per questo gli alleati invitano a non sottovalutare il terzo istinto di autoconservazione: quello dello stesso Conte.
Cresce il sospetto che non possa o non voglia mediare tra alleati, né trovare soluzioni soddisfacenti e comunque in grado di attutire la conflittualità. Gli si imputa di non coinvolgere abbastanza attori sociali ridotti a terminali, non protagonisti di uno sforzo di ripresa corale solo a parole. Palazzo Chigi dà l’impressione di voler continuare sulla strada di un divide et impera che prolunga e aggrava i problemi, senza risolverli. Esaspera le contraddizioni e le tentazioni di chi nella maggioranza accarezza forzature, se non strappi. E radicalizza la destra.
Magari il calcolo, se davvero di questo si tratta, a breve termine può funzionare; ma accentua il logoramento della coalizione. Presentarsi come gestore insostituibile di questa fase drammatica per motivi di forza maggiore moltiplica la voglia di alcuni alleati di tirare la corda al massimo nella sfida al proprio governo. Risultato: molte idee e iniziative, a volte peraltro poco convincenti, vengono respinte o comunque rimesse in discussione. Le riunioni del
Consiglio dei ministri collezionano rinvii per mancanza di accordi, mentre la popolarità del premier e del governo declinano con lenta ma inesorabile costanza.
Esito secondario, più preoccupante: l’Italia è in ritardo sui progetti sui quali la Commissione europea dovrà decidere di assegnare gli aiuti. Le restrizioni della libertà imposte al Paese a causa dei contagi continuano a ricevere l’approvazione di gran parte dell’opinione pubblica, è vero. In uno sfondo di scetticismo crescente, però. Il rischio non è solo quello di una sconnessione tra premier e maggioranza, tra partiti di governo, e tra Roma e le Regioni. Il pericolo è che l’esecutivo venga percepito come una compagine precaria, litigiosa e dominata solo dall’assillo di durare. Significherebbe indurre a credere sempre meno ai segnali d’allarme provenienti da un governo di navigatori a vista, convinti o illusi di essere inaffondabili.
Anche se per ora forse lo sono, i margini per furbizie e manovre dilatorie si stanno restringendo. Occorrerebbe un’opposizione credibile e in grado di costringere la maggioranza a fare il proprio dovere. Invece, purtroppo anche il centrodestra appare prigioniero del proprio miope istinto di sopravvivenza.
Ma così si condanna a un ruolo di contrapposizione sterile, con una deriva antieuropea che, invece di pungolare gli avversari, offre alibi e ossigeno alle forze del populismo più retrivo: fuori e dentro al governo. Eppure, sarebbe il momento di valutare a mente fredda i rischi e le incognite di una consunzione politica assecondata e favorita pensando, al contrario, di scongiurarla.
Opposizione
Anche il centrodestra appare purtroppo prigioniero del proprio miope istinto di sopravvivenza