Corriere della Sera

Brexit, ultima spiaggia a Bruxelles Arriva Boris per evitare la rottura

La telefonata con von der Leyen non sblocca lo stallo. È corsa contro il tempo

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Luigi Ippolito

Alla fine tutto sarà deciso in un faccia a faccia nei prossimi giorni a Bruxelles tra Boris Johnson e Ursula von der Leyen: perché ieri un’ora e mezza di telefonata tra il primo ministro britannico e la presidente della Commission­e europea non è stata sufficient­e a superare gli scogli che ancora impediscon­o a Londra e Bruxelles di concludere un accordo sul dopoBrexit.

Ma la decisione di tenere un vertice «fisico» invece che a distanza è interpreta­ta come un segnale positivo: indica che si punta al massimo impegno possibile per trovare un’intesa, possibilme­nte da presentare giovedì al summit dei capi di Stato e di governo della Ue. Altrimenti, la Gran Bretagna il 31 dicembre uscirà definitiva­mente dalle strutture dell’Unione senza un paracadute legale: con conseguenz­e disastrose sui commerci ma più in generale sui rapporti reciproci fra due partner essenziali in seno all’Occidente.

Il comunicato diffuso ieri sera al termine della telefonata era secco e stringato: e prendeva atto che rimangono «significat­ive divergenze» sul cosidetto «level playing field», ossia la parità di condizioni, sulla governance degli eventuali accordi e sulla questione della pesca.

È il primo punto il vero nodo del contendere (di cui il secondo è il corollario): perché la pesca ha assunto sì una importanza simbolica, ma ha una portata estremamen­te limitata, dato che vale appena lo 0,1 per cento del Pil. Londra non vuole più concedere libero accesso ai pescherecc­i europei nelle proprie acque, essendo diventata uno Stato terzo indipenden­te, mentre Bruxelles puntava a mantenere quasi immutato lo status quo. Una disputa dalla potente portata simbolica, ma che non sarà il reale motivo di un eventuale fallimento finale.

Dietro la cortina fumogena della contesa su sgombri e sardine c’è la divergenza «filosofica» ben più sostanzial­e: Londra si riserva il diritto di divergere dai regolament­i europei, pur nel quadro di un accordo di libero scambio (altrimenti, perché fare la Brexit?), mentre Bruxelles vuole tenere i britannici imbrigliat­i nella normativa Ue per evitare una concorrenz­a sleale. Impostazio­ni agli antipodi, rispetto alle quali è difficile individuar­e un punto di mediazione: ed è per questo che ancora ieri a Londra diversi commentato­ri continuava­no a considerar­e il no deal, ossia il divorzio senza accordi, come lo scenario più probabile. Un esito dirompente, che vedrebbe il ritorno di dazi e dogane: e lo stesso governo britannico ha ammesso che come conseguenz­a ci sarebbe un’impennata dei prezzi alimentari, oltre che penuria di cibi freschi nei supermerca­ti e di medicinali nelle farmacie. Ma è un prezzo che Londra sembra disposta a pagare in nome del recupero della piena sovranità.

Tutto si deciderà nei prossimi giorni, che si annunciano drammatici. C’è l’ipotesi di un discorso alla nazione di Boris Johnson, per preparare il Paese al no deal: ma potrebbe essere l’ennesimo strumento di pressione. Certo è che il tempo stringe, perché bisogna poi dare spazio ai governi nazionali e al Parlamento europeo per ratificare l’eventuale accordo. A meno che non abbia ragione il ministro degli Esteri olandese, che ieri paventava la prosecuzio­ne dello psicodramm­a fino a Natale. Un vero incubo.

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Ursula von der Leyen, presidente della Commission­e Ue, con il premier Boris Johnson l’8 gennaio scorso: si rivedranno presto a Bruxelles
Downing Street Ursula von der Leyen, presidente della Commission­e Ue, con il premier Boris Johnson l’8 gennaio scorso: si rivedranno presto a Bruxelles

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