Dylan, affare record Vende alla Universal tutte le sue canzoni
L’acquisizione Il cantautore incasserebbe 300 milioni di dollari: è un modo per fare ordine nell’eredità?
Aun giovanissimo cantante folk con il ciuffo scomposto e il giubbetto un po’ liso, nel 1963 viene data la possibilità di cantare in tv all’Ed Sullivan Show, la trasmissione più seguita d’America, quella che sette anni prima aveva fatto vendere al debuttante Elvis Presley un milione di copie di Love Me Tender, cosa mai successa prima. Il ragazzino con il giubbetto liso però scelse di cantare una canzone di protesta che si faceva beffe dell’estrema destra che cercava i comunisti «sotto al letto, dietro ai tubi del lavandino, sotto le tavole del pavimento». Cambia canzone, gli dissero, e la risposta fu no, o questa o niente, quindi niente Ed Sullivan Show perché certe cose non hanno un prezzo.
Sono passati 57 anni dopo quel rifiuto e il ragazzino — Bob Dylan — è un vecchio signore che ha venduto 125 milioni di dischi e vinto un premio Nobel, e ieri ha ceduto il catalogo di sessant’anni di canzoni all’Universal Music Group, la più grande casa discografica del mondo, americana ma di proprietà francocinese (Vivendi e Tencent), fatturato 2019: 7,16 miliardi di euro. Il prezzo? Il New York Times
dice 300 milioni di dollari, 247 milioni di euro, che sono tantissimi soldi solo finché non si considera che Universal nel 2018 aveva fatturato poco più di sei miliardi di euro e l’anno dopo è cresciuta di oltre un miliardo.
«Bob Dylan ha venduto il catalogo completo delle sue canzoni alla Universal» è una notizia di ieri sera e una frase di dodici parole, che verranno dibattute, analizzate, sezionate per mesi (anni) dai dylanologi, i fan più ossessivi di tutti capaci di innescare dispute da studiosi talmudici sugli aspetti più oscuri dell’opera del premio Nobel 2016 per la Letteratura. Significa, sottigliezze ossessive a parte, due cose: la prima, ovvia, è che adesso Dylan è molto più ricco ma la seconda è che non sarà più lui a scegliere l’uso che verrà fatto delle sue canzoni. Un’azienda produttrice di armamenti con un certo senso dello humour vorrà usare Masters of War in uno spot? Fino a ieri la scelta era di Dylan, e del suo manager Jeff Rosen direttore da decenni del Bob Dylan Music Group che è l’ufficetto newyorchese che amministrava i diritti americani di quelle 600 canzoni straordinarie. Da oggi, e finché non vorrà cedere a terzi il forziere delle canzoni dylaniane, decide Universal.
Non che Dylan sia sempre stato rigidissimo in questo senso: apparve in un malconsigliato spot della lingerie Victoria’s Secret, mise sul mercato il bourbon Heaven’s Door e cedette The Times They Are a-Changin’ a una banca svizzera per uno spot (almeno se avesse noleggiato proprio Knockin’ on Heaven’s Door ci sarebbe stata l’ironia della canzone scritta per la colonna sonora di «Pat Garrett e Billy the Kid», film sulla caccia al leggendario fuorilegge).
Ma perché cedere tutto il catalogo proprio ora? Ha bisogno di soldi? Anche se l’eterno Neverending Tour, il giro intorno al mondo senza fine dei suoi concerti, è fermo per coronavirus, l’ipotesi dei problemi di cash flow appare improbabile se non impossibile. Più probabile che Dylan, 80 anni il prossimo 24 maggio, abbia semplicemente deciso di razionalizzare il lavoro amministrativo massacrante della gestione di quelle 600 canzoni (richieste di cover, citazioni, utilizzi per cinema e spot, eventuali diffide a YouTube sulle quali invece è molto tollerante) e di semplificare radicalmente la successione.
Ha visto figlie e vedova dell’amico Tom Petty scannarsi, ed è quello che sarebbe potuto accadere anche a lui. Invece così, quando un giorno non ci sarà più, la sua eredità materiale sarà solo una questione di soldi da dividere. Le sue canzoni, Universal o no, apparterranno comunque a tutti quelli che amano la musica.