Il gioco del cerino che ora preoccupa il Quirinale
Ese nella prova parlamentare di oggi sulla riforma del Mes si materializzasse una «maggioranza variabile», grazie a qualche soccorso dal centrodestra (cioè Forza Italia), come la prenderebbe Sergio Mattarella? Ecco una delle domande che circolano sul futuro del governo giallorosso, nel caso che il negoziato per recuperare i ribelli del Movimento 5 Stelle non dovesse portare frutti, specie al Senato dove gli equilibri sono fragili. I pronostici danno per riassorbito il dissenso e citano «un accordo soddisfacente» fra i gruppi della coalizione, scartando dunque il rischio di sorprese. Il premier ci spera. Chissà, forse si è cautelato che chi fa per lui questi calcoli non sbagli come l’8 ottobre 1998 capitò ad Arturo Parisi, all’epoca sottosegretario a Palazzo Chigi, quando si disse tranquillo sui numeri dell’esecutivo per superare la secessione di Rifondazione comunista e il giorno dopo fu smentito dall’Aula, con immediate dimissioni di Prodi. Per un solo voto mancante.
Certo, gli scenari sono molto diversi. Ma la storia repubblicana è costellata di «incidenti» maturati al di là delle intenzioni, e al Quirinale ne hanno memoria. E conoscono pure l’illusorietà di alcune convergenze concesse ai governi da pezzi dell’opposizione, magari per far slittare le urne più che per convinzione. Sarebbe appunto l’ipotesi delle «maggioranze variabili», che vanno contro l’ortodossia parlamentare. Qualora si verificasse un tale caso adesso, per il capo dello Stato si aprirebbe un passaggio politico rilevante, affidato in primo luogo alla sensibilità istituzionale di Giuseppe Conte. Il quale non potrebbe far finta di nulla e dovrebbe convocare un vertice di maggioranza per verificare se la propria coalizione abbia ancora una ragion d’essere. Con rinuncia all’incarico, se la solidarietà interna risultasse troppo precaria.
Posto che i giallorossi riescano oggi a scavallare la crisi, si ballerà comunque fino a gennaio. Una prospettiva che per Mattarella è di sicuro desolante, date le condizioni del Paese in piena pandemia.
Matteo Renzi ha già attivato le sue truppe per lo scontro sul Recovery fund (e soprattutto sui 209 miliardi che aspettiamo dall’Europa), mentre non è archiviato il rimpasto. Siamo insomma al gioco del cerino: nessuno vuole intestarsi la caduta del governo davanti a un’Europa sbigottita per lo schizofrenico spettacolo della politica italiana, e per di più alla vigilia del varo di una Finanziaria difficile. A meno di una clamorosa conversione alla responsabilità di tutte le parti in causa, il Conte 2 è destinato a stare in piedi soltanto fino a quando quel cerino si spegnerà.