«È monopolista, fa concorrenza sleale». Ora rischia lo smembramento L’Antitrust e 48 Stati Usa fanno causa a Facebook
Non è un fulmine a ciel sereno: Facebook sapeva da un anno e mezzo di essere sotto indagine da parte della Federal Trade Commission (Ftc), l’agenzia federale che sorveglia il commercio, mentre anche le procure di quasi tutti gli Stati dell’Unione stavano indagando con l’obiettivo di trascinare in tribunale il gigante delle reti sociali.
Ma quella delle denunce sincronizzate della Ftc e di 48 Stati (coordinati dall’Attorney General di New York, Letitia James) che denunciano alla magistratura la violazione delle norme antitrust da parte del gruppo di Mark Zuckerberg, è comunque una notizia enorme. Per la prima volta l’accusa a Facebook, coi suoi 2,7 miliardi di utenti, di essere diventata quasi un monopolio che va spezzato smette di essere semplice argomento di dibattito politico o accademico ed entra nelle aule dei tribunali. Ora è possibile che, prima o poi, un giudice ordini la scissione di una parte delle attivià del gruppo — probabilmente Instagram e WhatsApp — sulla base di leggi antitrust che esistono ma non vengono applicate da molti anni. Nell’immediato non accadrà nulla: le corti si prenderanno il loro tempo e, anche se arriverà un ordine così radicale, ci saranno anni di ricorsi, dispute giudiziarie, possibili interventi legislativi.
Ma per la prima volta Facebook si trova davanti a una minaccia concreta: i mercati se ne sono accorti e in pochi minuti hanno fatto perdere il 4 per cento al titolo della società. Può apparire singolare che oggi la Ftc pensi di fare a pezzi Facebook dopo aver approvato, meno di dieci anni fa, la sua acquisizione di Instagram e WhatsApp. Ma negli ultimi anni Facebook è cresciuta a una velocità impressionante (oggi controlla quasi i tre quarti del traffico mondiale dei social network al di fuori della Cina) mentre sono molto cambiati gli umori dell’opinione pubblica e della politica nei confronti dei giganti tecnologici della Silicon Valley. Il Congresso non è riuscito a intervenire con misure legislative né ha aggiornato le norme anti monopolio alla nuova realtà dell’economia digitale. Ma Camera e Senato da tempo indagano, hanno «processato» nelle loro audizioni Zuckerberg e gli altri capi di big tech e hanno scoperto fatti nuovi: ad esempio documenti dai quali emerge che il capo di Facebook temeva che Instagram potesse crescere e sottrarre quote di mercato alla sua società. Quando autorizzarono l’acquisizione, probabilmente i commissari della Ftc non erano a conoscenza di questi elementi.
Allarme rosso, dunque, nella Silicon Valley e non solo per Facebook: a ottobre il ministero della Giustizia e un altro gruppo di procuratori generali di parecchi Stati americani avevano annunciato un’indagine su materie analoghe anche contro Google, mentre sono partite iniziative giudiziarie anche contro Amazon. Non è la prima volta che i giganti digitali rischiano grosso: i gruppi Usa sono già stati messi più volte sotto accusa dalla Commissione europea e l’anno scorso la stessa Ftc aveva comminato una multa di 5 miliardi Facebook. Ma in quel caso il gruppo era stato punito (dopo lo scandalo di Cambridge Analytica) per uso improprio dei dati dei suoi utenti.
E molti critici avevano notato che per un gruppo delle dimensioni di Facebook quella sanzione era poco più che uno schiaffo. Ora la musica cambia e non solo per ii risveglio dell’ente regolatore: col Parlamento sempre diviso, sono gli Stati coalizzati a prendere l’iniziativa politica. E Letitia James a promettere che si impegneranno fino in fondo contro pressioni monopoliste che «ostacolano la competizione, danneggiano le piccole imprese, riducono la tutela della privacy, riducono l’innovazione e la creatività».