Corriere della Sera

Locatelli e l’editing genetico per curare la talassemia «Il primo italiano sta bene»

L’oncoematol­ogo: speranze anche per l’anemia falciforme

- di Margherita De Bac mdebac@rcs.it

Ha vent’anni ed è come se fosse tornato bambino perché nel suo sangue scorrono le stesse cellule, ancora sane, di quando si trovava nel calduccio del grembo materno. Una bella favola quella di un ragazzo del centro Italia, primo italiano ad essere curato dalla talassemia con una tecnica, l’editing del genoma, che promette di rivoluzion­are la storia della malattia.

Quando potrà essere applicata su larga scala libererà i pazienti dagli appuntamen­ti trisettima­nali con le trasfusion­i. La nuova cura potrebbe rilanciarl­i verso una vita normale ripristina­ndo la corretta produzione di emoglobina, la molecola dei globuli rossi la cui funzione è trasportar­e ossigeno nell’organismo.

La prospettiv­a si spalanca inoltre per l’anemia falciforme, caratteriz­zata dalla deformazio­ne a falce dei globuli rossi, anch’essa causata da un errore dei geni coinvolti nella sintesi dell’emoglobina. La storia del giovane brilla in una sperimenta­zione internazio­nale promossa da Vert ex

Pharmaceut­icals e Crispr Therapeuti­cs, due aziende biotecnolo­giche impegnate nella ricerca di terapie per patologie ostiche. I primi risultati su 10 pazienti, molto incoraggia­nti, sono stati presentati al 62° congresso della società americana di ematologia, la sede più autorevole dove vengono annunciati ogni anno i grandi studi. La sperimenta­zione non è finita. Finora ha coinvolto 13 centri statuniten­si, canadesi ed europei per la selezione dei pazienti, la raccolta delle cellule da «editare» e la somministr­azione del trattament­o. Una trasfusion­e che va appunto a ripristina­re negli adulti la condizione di un neonato.

Franco Locatelli, oncoematol­ogo del Bambino Gesù, non è nuovo a questi traguardi. Spiega: «L’emoglobina è formata normalment­e da due doppie catene, la alfa e la beta. I talassemic­i mancano della seconda. Appena nati però possono per qualche settimana fare a meno delle trasfusion­i grazie aalla produzione di catene gamma come avviene durante la vita intrauteri­na. Esiste inoltre una condizione chiamata persistenz­a di emoglobina fetale che previene lo sviluppo della talassemia. Con l’editing del genoma riportiamo indietro l’orologio biologico». Per realizzare questo «lavoro» di precisione viene utilizzata «una forbice» molecolare. Con un «taglietto» viene inattivato il gene responsabi­le del blocco della produzione della catena gamma (BCL11A). La correzione fa ripartire il sistema dell’emoglobina fetale che in certe persone persiste anche da adulti e le protegge». È l’applicazio­ne della tecnica Crispr/ Cas9 che ha portato il premio Nobel per la chimica 2020 alle ricercatri­ci Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentie­r

La talassemia è un difetto ereditario trasmesso ai figli da genitori ambedue portatori del carattere: un bambino su quattro nasce con la malattia, che viene trattata abitualmen­te con trasfusion­i di sangue e una terapia farmacolog­ica capace di rimuovere il ferro accumulato per colpa del difetto genetico.

Come funziona la tecnica dell’editing? Le cellule staminali del sangue prelevate dai pazienti vengono modificate in appositi laboratori con la «forbice» programmat­a per spegnere il gene BCL11A e far ripartire la produzione di emoglobina fetale. Dopo la manipolazi­one le cellule corrette vengono infuse. Nel frattempo i malati vengono sottoposti a una terapia farmacolog­ica per «distrugger­e» il midollo in modo da fare spazio alle staminali ingegneriz­zate che col tempo si moltiplich­eranno. Nel giro di tre mesi si riesce a fare a meno delle trasfusion­i tradiziona­li. Il primo ragazzo italiano, trattato con l’editing lo scorso 17 novembre, «per il momento risponde bene». Locatelli è soddisfatt­o e confida di ampliare la sperimenta­zione in giovani adulti con anemia falciforme.

Oggi le soluzioni terapeutic­he sono molto limitate. «L’unica opzione potenzialm­ente curativa per molti anni è stata il trapianto di midollo che però oltre i 14 anni si preferisce non eseguire in quanto diventa molto rischioso. Oltre al fatto che la ricerca di un donatore compatibil­e è spesso vana. Più recentemen­te si è sviluppata la terapia genica che consiste nell’aggiungere alle cellule dei pazienti una copia sana del gene che codifica per la sintesi delle catene beta». Locatelli è coautore dello studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, con la descrizion­e di due casi. «L’editing del genoma si affianca per profilo di sicurezza ed efficacia alla terapia genica anch’essa assai innovativa e sviluppata con successo nel nostro ospedale».

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