Locatelli e l’editing genetico per curare la talassemia «Il primo italiano sta bene»
L’oncoematologo: speranze anche per l’anemia falciforme
Ha vent’anni ed è come se fosse tornato bambino perché nel suo sangue scorrono le stesse cellule, ancora sane, di quando si trovava nel calduccio del grembo materno. Una bella favola quella di un ragazzo del centro Italia, primo italiano ad essere curato dalla talassemia con una tecnica, l’editing del genoma, che promette di rivoluzionare la storia della malattia.
Quando potrà essere applicata su larga scala libererà i pazienti dagli appuntamenti trisettimanali con le trasfusioni. La nuova cura potrebbe rilanciarli verso una vita normale ripristinando la corretta produzione di emoglobina, la molecola dei globuli rossi la cui funzione è trasportare ossigeno nell’organismo.
La prospettiva si spalanca inoltre per l’anemia falciforme, caratterizzata dalla deformazione a falce dei globuli rossi, anch’essa causata da un errore dei geni coinvolti nella sintesi dell’emoglobina. La storia del giovane brilla in una sperimentazione internazionale promossa da Vert ex
Pharmaceuticals e Crispr Therapeutics, due aziende biotecnologiche impegnate nella ricerca di terapie per patologie ostiche. I primi risultati su 10 pazienti, molto incoraggianti, sono stati presentati al 62° congresso della società americana di ematologia, la sede più autorevole dove vengono annunciati ogni anno i grandi studi. La sperimentazione non è finita. Finora ha coinvolto 13 centri statunitensi, canadesi ed europei per la selezione dei pazienti, la raccolta delle cellule da «editare» e la somministrazione del trattamento. Una trasfusione che va appunto a ripristinare negli adulti la condizione di un neonato.
Franco Locatelli, oncoematologo del Bambino Gesù, non è nuovo a questi traguardi. Spiega: «L’emoglobina è formata normalmente da due doppie catene, la alfa e la beta. I talassemici mancano della seconda. Appena nati però possono per qualche settimana fare a meno delle trasfusioni grazie aalla produzione di catene gamma come avviene durante la vita intrauterina. Esiste inoltre una condizione chiamata persistenza di emoglobina fetale che previene lo sviluppo della talassemia. Con l’editing del genoma riportiamo indietro l’orologio biologico». Per realizzare questo «lavoro» di precisione viene utilizzata «una forbice» molecolare. Con un «taglietto» viene inattivato il gene responsabile del blocco della produzione della catena gamma (BCL11A). La correzione fa ripartire il sistema dell’emoglobina fetale che in certe persone persiste anche da adulti e le protegge». È l’applicazione della tecnica Crispr/ Cas9 che ha portato il premio Nobel per la chimica 2020 alle ricercatrici Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier
La talassemia è un difetto ereditario trasmesso ai figli da genitori ambedue portatori del carattere: un bambino su quattro nasce con la malattia, che viene trattata abitualmente con trasfusioni di sangue e una terapia farmacologica capace di rimuovere il ferro accumulato per colpa del difetto genetico.
Come funziona la tecnica dell’editing? Le cellule staminali del sangue prelevate dai pazienti vengono modificate in appositi laboratori con la «forbice» programmata per spegnere il gene BCL11A e far ripartire la produzione di emoglobina fetale. Dopo la manipolazione le cellule corrette vengono infuse. Nel frattempo i malati vengono sottoposti a una terapia farmacologica per «distruggere» il midollo in modo da fare spazio alle staminali ingegnerizzate che col tempo si moltiplicheranno. Nel giro di tre mesi si riesce a fare a meno delle trasfusioni tradizionali. Il primo ragazzo italiano, trattato con l’editing lo scorso 17 novembre, «per il momento risponde bene». Locatelli è soddisfatto e confida di ampliare la sperimentazione in giovani adulti con anemia falciforme.
Oggi le soluzioni terapeutiche sono molto limitate. «L’unica opzione potenzialmente curativa per molti anni è stata il trapianto di midollo che però oltre i 14 anni si preferisce non eseguire in quanto diventa molto rischioso. Oltre al fatto che la ricerca di un donatore compatibile è spesso vana. Più recentemente si è sviluppata la terapia genica che consiste nell’aggiungere alle cellule dei pazienti una copia sana del gene che codifica per la sintesi delle catene beta». Locatelli è coautore dello studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, con la descrizione di due casi. «L’editing del genoma si affianca per profilo di sicurezza ed efficacia alla terapia genica anch’essa assai innovativa e sviluppata con successo nel nostro ospedale».