Dalla fatica di una terra tutta in salita nasce il tesoro dei vignaioli trentini
Patton (Cembra): i terrazzamenti proteggono dai dissesti idrogeologici
No, non è andata come per Garibaldi, che la fantasia popolare lo immaginò affacciato al balcone di ogni borgo d’Italia. Perché Albrecht Dürer, il grande pittore rinascimentale tedesco, da queste parti, in Trentino, c’è stato davvero. Ritornando nella sua Norimberga, visitò la Val di Cembra, restando affascinato dalle Piramidi di Segonzano.
Se si inebriò dell’uva del posto? Forse sarebbe chiedergli troppo. Di fatto, a due passi da Segonzano c’è il paese di Cembra, sede della cooperativa Cembra. Cantina di montagna, con meno anni alle spalle del Sentiero di Dürer, ma a pochi passi dal traguardo dei suoi primi settanta. «La definirei una signora sessantottenne che si porta molto bene l’età», dice Pietro Patton, 63 anni, presidente della Cantina di Cembra, oltre che presidente del Consorzio vini del Trentino. Quel suo essere «cittadino», di casa a Trento, gli permette ancora di stupirsi ogni giorno, girando per i vigneti valligiani: «Basta guardarsi intorno per immaginare la fatica dei vignaioli: qui siamo a settecento metri sul livello del mare, tra le vigne più alte del Trentino, da lavorare attraverso pendenze che superano il 40 per cento».
In questo gran premio della montagna delle viti avviene da decenni un vero e proprio miracolo. Frutto della costanza dei cinquecento soci della Cantina e di Madre Natura. «Il terreno è ricco di sabbia, poco argilloso: qui c’è il porfido, tra i più grandi bacini d’Europa, che regala al vino freschezza e mineralità; non per niente, si chiama Ororosso, la bollicina Trentodoc, della quale si producono ogni anno dalle 30 alle 50 mila bottiglie», spiega Patton, che aggiunge: «Ma senza la puntigliosa lavorazione dei valligiani non ci sarebbero i costanti 28 mila quintali di uva ogni anno, dei quali, ben ventimila sono dedicati alla spumantizzazione».
Una lavorazione attenta al più piccolo dettaglio e che fa di necessità virtù: «Degli undicimila ettari di vigne dell’intero Trentino, quelli della Val di Cembra costituiscono il nove per cento: i caratteristici vigneti terrazzati non sono altro che il tentativo da parte dei vignaioli di rubare alle pendenze degli spazi pianeggianti». Operazione senza sosta da più di un secolo. «I settecento chilometri di muretti a secco, denominati Paesaggio rurale storico d’Italia dal Ministero delle Politiche Agricole, e che sono iscritti tra i Beni immateriali dell’Umanità dell’Unesco, non hanno la funzione di marcare il territorio tra un confine e l’altro, ma di scongiurare possibili rischi di dissesto idrogeologico», puntualizza il presidente di una cooperativa dove ciascun socio, pur non arrivando a possedere un ettaro di vigna, è felice lo stesso.
«Se siamo riusciti, mediante la sfogliatura della vite, a dimezzare i trattamenti antiparassitari, o a ritagliare di un terzo la punta del grappolo di uva (per facilitare il grado zuccherino del Pinot nero), è perché qui si lavora fino a mille ore all’anno per ettaro». Giusto per quantificare la parcellizzazione dei terreni, realizzata grazie ai suggerimenti dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige e dell’Istituto di difesa del suolo di Firenze: «Un giusto compromesso in vigna tra le tecniche tradizionali, come la necessaria pressatura lenta delle uve col torchio verticale Marmonier, in modo che il mosto ottenuto sia poco stressato, e l’innovazione portata avanti dai giovani agricoltori, ricambio generazionale degli ultimi cinque anni», conclude il presidente. Sarà un caso, ma cinque è lo stesso numero di anni che occorrono ai lieviti per far maturare le bollicine di montagna dell’Ororosso, Dosaggio Zero, protagonista assoluto della Valle.
«Qui si lavora fino a mille ore all’anno per ettaro. I giovani ci portano innovazione»