Conte parte dai 5 Stelle Via alla verifica di governo
Oggi il primo incontro, poi toccherà ai dem. In attesa di Renzi
La domenica ha portato consiglio, o forse solo tanta paura del voto. Italia viva ha abbassato il tono della voce e anche il Pd ha frenato sull’orlo del baratro. La tentazione di Renzi di trascinare il governo verso una crisi al buio ha convinto i dem a sganciarsi dall’alleato più irrequieto, tornando a fare da scudo a Conte. E alle dieci di sera da Palazzo Chigi partono le convocazioni per il «tagliando» al governo, ultimo tentativo di scongiurare la fine dell’esperienza giallorossa. Il presidente del Consiglio, allergico a formule che «sanno di antico» come verifica e rimpasto, parla di «confronto con le forze politiche» e aspetta per oggi alle 16.30 la delegazione del Movimento: capigruppo, capo delegazione e «big». Seguirà il Pd e poi, nei prossimi giorni, gli altri partiti.
Il calendario delle convocazioni rispecchia il peso parlamentare dei partiti. Anche se i dem ritengono che la verifica sia ormai «un affare tra Conte e Renzi», il leader di Italia viva salirà a Palazzo Chigi solo dopo M5S e Pd e l’incontro è così delicato che pontieri e ambasciatori stanno preparando il campo. L’ex premier dovrà smentire di essere alla ricerca di una maggioranza alternativa e Conte dovrà convincere Renzi di non aver mai pensato che il leader di Italia viva puntasse al rimpasto per una poltrona.
Anche Luigi Di Maio si prepara al vertice. Difende Conte, smentisce inciuci e trame occulte: «Non mi interessa fare il premier». Resterà alla Farnesina, anche se i soliti sospetti vorrebbero Renzi interessato a quel ministero, o alla Difesa, come rampa di lancio per la guida della Nato. Strategie che rischiano di ribaltare il governo e hanno messo in allarme il Colle. L’idea che Conte sia costretto a lasciare in piena pandemia, col Recovery plan da portare a casa e la presidenza italiana del G20 preoccupa il presidente Mattarella, che certo non vede con favore la ricerca in Parlamento di una maggioranza raccogliticcia per evitare le urne.
«La fine dell’esecutivo sarebbe un’avventura pericolosa», ha ammonito sul
Zingaretti. Ma ora il Pd sprona Conte perché rilanci la maggioranza e chiuda i dossier aperti: Recovery, legge elettorale, riforma costituzionale, Mes, Autostrade, Alitalia, Ilva. L’elenco dei problemi è lungo e il tempo è poco. Per quanto Renzi appaia incerto, nessuno tra i ministri è pronto a giurare che l’ex premier il 28 dicembre, dicendo sì alla legge di Bilancio, non tiri giù il sipario del governo Conte.
Nel confronto con le forze politiche il presidente chiederà di mettere le carte sul tavolo, senza più «giochi e giochini» sottobanco. Vuole che le forze politiche gli confermino
Il premier non potrà sottrarsi alla modifica della cabina di regia per il Recovery fund
la fiducia, oppure gliela tolgano pubblicamente, in Parlamento. E spera ancora di riuscire a evitare il rimpasto, perché, come avrebbe confidato a Mattarella, «il M5S è ancora in una fase di transizione e non reggerebbe, togliendo una tessera si rischia che venga giù tutto il mosaico». Preoccupazione che il capo dello Stato, che consiglia di non toccare le caselle di Interni, Esteri, Economia, Salute e Difesa, di certo condivide.
E allora Conte dovrà offrire una maggiore condivisione e collegialità delle scelte. Renzi, Zingaretti e Di Maio chiedono ritocchi sostanziosi sulla governance del Recovery e il premier non potrà sottrarsi: non sarà più la struttura di missione a comandare e le decisioni non verranno prese nelle chiuse stanze di Palazzo Chigi, ma saranno discusse con i partiti, le parti sociali, il Parlamento.