Le battaglie di Janelle
Monáe: «Sono una privilegiata ma anche con i miei film mi impegno contro il razzismo»
«Il mondo, l’America ci deve un po’ di pace». Janelle Monáe ha 35 anni e una carriera di successo nel mondo della moda, del cinema e della musica (ha già all’attivo otto nomination ai Grammy ed è proprietaria di una casa discografica). Il suo successo è dovuto a un talento appassionato, dedicato quasi interamente alle battaglie per i diritti della comunità afro-americana. La sua musica e i progetti cinematografici cui partecipa trasudano passione politica e denuncia sociale. Come il film vincitore dell’Oscar nel 2017 Moonlight, che ha segnato il suo debutto a Hollywood, o Il diritto di contare, su un gruppetto di matematiche che negli anni Cinquanta sfidarono sessismo e razzismo nei laboratori della Nasa; e come Antebellum, da oggi su Amazon Prime Video, potente horror sociologico che entra di diritto in quel sottogenere creato da Jordan Peele con Get Out, in cui l’horror non racconta paure ipotetiche o allegoriche, ma va dritto al cuore di un problema sociale.
Anche nel caso di Antebellum il problema è il razzismo sistemico dell’America, la sua incapacità di scrollarsi di dosso il peccato originale dello schiavismo. Nel film, Janelle Monáe gioca due ruoli, Veronica e Eden. La prima è una scrittrice di successo in epoca contemporanea, la seconda una donna ridotta in schiavitù, intrappolata nelle atmosfere cupe degli stati del sud nel XIX secolo. Lotteranno entrambe per risolvere un mistero terribile quanto inspiegabile e lo faranno con la determinazione e la forza di chi non ha nulla da perdere e non si rassegna alle ingiustizie.
L’idea di questo film che vede nel cast anche Jack Huston, Jena Malone e Gabourey Sidibe, è venuta, in sogno, a Gerard Bush che, insieme a Christopher
Renz, ha scritto la sceneggiatura e curato la regia. «Gerard Bush — dice Monáe — è convinto che siano stati i suoi antenati, schiavi, a fargli vivere quel sogno. Succede spesso anche a me di trarre ispirazione per la mia musica dai sogni che faccio e sono convinta anche io che siano i nostri nonni a volerci parlare». La nonna materna è stata la figura di riferimento della famiglia di Janelle: «Mia nonna aveva 11 figli. Non c’erano soldi in famiglia, ma c’era tanto amore. Chi non aveva un posto dove stare andava da lei. Se avevi bisogno di cibo, se eri appena uscito dal carcere o dalla clinica per la disintossicazione, andavi da lei che ti accoglieva sempre. La sua figura, la mia famiglia grande e solida, mi hanno sempre ispirato e continuano a farlo».
Il talento e un viso da bambola di ceramica senza quelle solide basi forse non sarebbero bastati a portarla al successo. La scala sociale negli Stati Uniti del XXI secolo è ancora irta di ostacoli. «Le statistiche dicono che, visto da dove sono partita, non dovrei essere dove sono oggi ma la mia famiglia mi ha spinto a essere meglio, ad andare oltre. E ora che sono in una posizione privilegiata non posso pensare di tradire la mia comunità, per questo lotto così tanto per i diritti della minoranza nera. Devo lottare per Breonna Taylor, uccisa in casa sua dalla polizia; per George Floyd, soffocato dal ginocchio di un agente; per Sandra Bland, Trayvon Martin, Jacob Blake (altre vittime della brutalità della polizia negli Usa, nde). Devo lottare per loro e, facendolo, per la mia stessa pace».
Janelle Monáe spera che questo film sia visto da tutti. «Quando parliamo di brutalità della polizia parliamo del fardello emotivo che gli uomini e le donne nere devo portare ogni giorno, la fatica che ci è costantemente richiesta per cercare di abbattere la supremazia bianca, il razzismo di questo paese. Sono centinaia di anni che portiamo questo peso. E non se ne può parlare senza guardare il passato, ai tempi della guerra civile. La polizia negli stati del sud è stata costituita come controllo degli schiavi, quindi le radici sono quelle, fondate sul razzismo, sulla persecuzione dei neri, sul tentativo di sottometterli, soggiogarli, ucciderli per la loro ‘pretesa’ di essere liberi. C’è molto da lottare purtroppo, e quando si pensa che le cose non possano peggiorare più di così, ci si accorge che non è vero. Quello che facciamo o non facciamo determina il nostro futuro e quindi sono determinata a tenerlo sempre a mente, ogni volta che decido il mio prossimo progetto».
«Mia nonna aveva 11 figli. Non c’erano soldi ma tanto amore La sua figura mi ispira»