Sironi jr: vinco grazie a papà regista storico di Montalbano
Premiato agli Oscar europei. «Non è riuscito a vedere il mio primo film»
Carlo Sironi ha vinto il premio «Discovery» agli Efa, è la rivelazione degli Oscar europei con il suo primo film, Sole.
Lei ha dedicato il premio a suo padre, Alberto Sironi, il regista del Commissario Montalbano.
«Non è riuscito a vederlo, non ce l’ha fatta. Avevamo un bel rapporto di scambio, il mio primo lavoro fu su un suo set, Il furto del tesoro, una miniserie televisiva, è strano quando tuo padre è il direttore del circo».
Di cosa parlavate?
«Era un rapporto che passava per la letteratura, da bambino per farmi addormentare non mi leggeva le favole
ma I quarantanove racconti di Hemingway. E’ buffo perché alla vigilia degli Efa i candidati dovevano rispondere a una serie di domande. Una era sul film che salveresti dall’Apocalisse, io dissi Fanny e Alexander di Ingmar Bergman, fu mio padre a farmi innamorare di quella storia, un uomo che fa pace con la vita. Poi mi fece scoprire l’espressionismo di
Murnau… Ma non giocavamo a fare il cenacolo degli intellettuali, Alberto era anche un appassionato di calcio».
Lo chiama per nome…
«Quando parlo con chi lo ha conosciuto sul lavoro. Era un galantuomo all’antica con un forte senso etico».
Lo andava a trovare sul set di Montalbano?
«Sì, fu lui a volere Luca Zingaretti. Riusciva a creare un’atmosfera da film western, Montalbano è lo sceriffo, aveva un senso epico che in Italia si vede poco. Lui e il papà di Montalbano, Andrea Camilleri, sono morti l’anno scorso a distanza di due settimane».
Debutta a 37 anni.
«Avrei potuto esordire prima ma fino a 25 anni al cinema facevo tutt’altro, ero video assist e aiuto operatore, lavoravo nella fotografia e quando fai parte di una squadra non pensi ai tuoi progetti».
E’ stato difficile girare un film sulla maternità surrogata, vietata in Italia?
«E’ stato un processo lungo, poi Giovanni Pompili e Rai Cinema hanno creduto in me. E’ la storia di una falsa adozione, il ragazzo viene pagato per fingere di essere padre di una bambina non sua, la ragazza polacca venuta in Italia per vendere il figlio agli zii del ragazzo che hanno architettato tutto. Una storia di solitudini e di amore che ha una sua cupezza, persone ai margini… Ma la vera difficoltà è stata quella di trovare il giusto tono di scrittura, perché questa storia si poteva raccontare da tanti punti di vista. Mi sono ispirato nei toni agrodolci ai registi giapponesi degli Anni
’40 e ‘50».
Il cinema italiano è uscito sconfitto dagli Efa, 7 candidature, due attori come Germano e Marinelli, i fratelli D’Innocenzo…
«Non sono d’accordo, avere il primato delle candidature, essere stati selezionati dai 3.800 membri degli Efa che sono addetti ai lavori, era comunque importante».
Sì però come nel calcio conta il risultato.
«E’ stato preferito Un altro giro di Vinterberg, un film potente sull’alcol e la bellezza della vita. Ma quelli italiani, Martin Eden che ha trasportato un mito della letteratura americana a Napoli, Volevo nascondermi, Favolacce, sono tutti film coraggiosi, ed è questo che conta».
Se lo aspettava di vincere?
«Per niente, anche se il cammino di Sole, dopo l’accoglienza alla Mostra di Venezia e al Festival Toronto è stato lungo. E’ stato acquistato in Asia, in USA, i Francia, in Spagna… Ho festeggiato da solo a casa per la pandemia con svariati bicchieri di vino accanto al mio gatto».
E ora?
«Racconto una storia di maternità surrogata, il prossimo lavoro sarà sugli adolescenti»
«Preparo un film diverso, una teen story sull’estate, sulla fuga, su un legame di sorellanza tra due ragazzine».