Corriere della Sera

La poesia imprevista di un vecchio amico

- di Paolo Di Stefano

Ci sono preziose briciole di discorsi, di frasi, di pensieri che vengono buttate là come quelle di Pollicino nella famosa fiaba, ma che non vengono seguite da nessuno per disattenzi­one, per insensibil­ità o per il frastuono da cui sono sommerse. Muore Paolo Rossi e tutti (giustament­e) a ripetere che se n’è andata una leggenda. Ma nessuno si è avvicinato alla profondità di Trapattoni (quello di Strunz e del gatto nel sacco). Che con poche parole ha spazzato via cumuli di luoghi comuni: «I giocatori – ha detto – non dovrebbero andarsene prima degli allenatori». Un’accensione di pura poesia e di compassion­e provenient­e da un vecchio che ne ha viste di tutti i colori. E che concepisce il calcio ancora a dimensione familiare, tant’è vero che avrebbe anche potuto (forse voluto) dire: «I figli non dovrebbero andarsene prima dei padri». Anche Cabrini ha parlato di famiglia: «Ho perso non un amico, ma un fratello». Viene da pensare che l’Italia migliore sia sempre quella tradiziona­le: l’Italia del familismo tutt’altro che amorale. Probabilme­nte la Nazionale di Pablito ci piaceva tanto (e ci piace) perché era una famiglia (certo maschilist­a, ma la Mamma era la bandiera italiana): con un padre come Bearzot, un fratello maggiore come Zoff, un fratellino minore (con i baffi da grande) come Zio Bergomi e in mezzo gli altri, belli, brutti, scavezzaco­llo, buoni, cupi, furbi, fragili, forti, come se ne trovano in ogni famiglia. Alla fine, si aggiunge nonno Sandro Pertini: e qual è quel ragazzino italiano che non abbia mai giocato a carte con il nonno? Fatto sta che nel grigio-nero della pandemia avremmo dovuto apprezzare di più certi rari e imprevisti barlumi di poesia. Allo scoccare degli ottant’anni, Pelé, festeggiat­o ovunque, ha detto: «Spero che Dio mi riceva come fanno gli uomini qui in terra». Frase bellissima piena di gratitudin­e per la vita. E qualche giorno prima, il povero Keith Jarrett, nel comunicare che dopo due ictus non sarebbe mai più stato un pianista, ha confessato: «Ora suono solo nei sogni, anche se non è come nella realtà». Un’immagine vertiginos­a per un artista che nella vita, come tutti gli artisti, non ha fatto altro che innalzare la banalità della realtà allo splendore del sogno e che adesso si rende conto di quanto il contrario sia impossibil­e: fare in modo che il sogno somigli alla bellezza della realtà.

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