«Le vaccinazioni per data di nascita Dai più anziani»
Domenico Arcuri: «Ci sono hub e celle frigorifere, tutto è pronto La seconda fase sarà per i lavoratori delle scuole e dei trasporti» Il commissario: per l’Ilva acciaio verde garantendo l’occupazione
Le prime vaccinazioni a medici, infermieri e Rsa ma dopo «inizieremo con chi ha più di 60 anni», andando in ordine di età decrescente, partendo dai centenari. Il commissario Domenico Arcuri svela al Corriere il piano per somministrare le dosi: «Siamo pronti».
L’accusa mossa più spesso a Domenico Arcuri è di assumere troppe funzioni allo stesso tempo: commissario straordinario per l’emergenza Covid, amministratore delegato di Invitalia e ora in quest’ultima veste anche capofila del rilancio dell’Ilva di Taranto.
Troppo per un uomo solo?
«Lo chieda ai miei collaboratori — dice lui —. Se ho qualche colpa è di ringraziarli sempre troppo poco, di farli lavorare tanto e di chiedere loro di sopportare le strumentalizzazioni. Gli uomini soli al comando non sono più parte del nostro tempo. Del mio, mai stati. E comunque, limitandoci all’Ilva, in fondo tutti insieme un accordo l’abbiamo sottoscritto».
Ci veniamo. Ma prima ci dice quando partono i vaccini in Italia?
«Se le agenzie del farmaco in Italia (Aifa) e in Europa (Ema) rispetteranno il calendario, simbolicamente a fine dicembre. E massicciamente ad inizio gennaio. Altro che uomo solo al comando: con il ministro della Salute e il suo staff, con i miei collaboratori, con migliaia di medici e di infermieri, l’esercito, alcune grandi aziende pubbliche italiane, la comunità scientifica e con il sostegno quotidiano del governo, noi siamo pronti. Non perderemo neanche un minuto e non conserveremo una sola dose nei nostri magazzini. Sarebbe intollerabile».
Tutto a posto con la logistica della distribuzione?
«Sì. Ci sono gli hub, la dotazione delle celle frigorifere e il sistema di distribuzione è già pronto a partire».
La prima ondata di vaccinazioni va agli ospedali per il personale e nelle case di riposo per tutti. Ma la seconda quando parte e a chi spetta?
«Non sappiamo esattamente quando, perché dipenderà da autorizzazioni e produzione dei vaccini. Potrà essere nel primo trimestre del 2021. Quanto alle priorità nella popolazione, si inizierà dagli 11 milioni di abitanti che hanno più di sessant’anni, a partire dai più anziani in giù. Nella seconda fase di vaccinazioni dovranno rientrare anche i lavoratori che svolgono servizi essenziali che li mettono a rischio: forze dell’ordine, scuola, trasporto pubblico e anche le carceri».
Intanto lei gestisce il rientro dello Stato in Ilva attraverso Invitalia, accanto a ArcelorMittal. Ma lo Stato non ha una storia di successo nell’acciaio: perché stavolta dovrebbe essere diverso?
«L’Italsider ha scritto pagine importanti dell’industria italiana. È stata una fase irripetibile, in cui i governi disegnavano interventi diretti nell’economia preoccupandosi dello sviluppo e dell’occupazione. Quella stagione è finita. Ma oggi è il momento di riaccelerare, siamo in uscita dall’emergenza più grave del dopoguerra. Un Paese senza industria né innovazione non ha futuro ed è per questo che stavolta sarà diverso. Lo Stato assicurerà una rapida transizione della produzione di acciaio verso livelche li di sostenibilità ambientale e sociale: un terzo della produzione sarà “verde”, ci sarà un forno elettrico e due impianti per il preridotto. A partire dal Sud, si può produrre un acciaio verde ed ecosostenibile».
La presenza pubblica in Ilva ha un calendario per l’uscita?
«In linea ideale sì: c’è l’idea di entrare, mettere in atto un progetto e poi trovare le modalità di uscita. Ma sarebbe ingeneroso dire ora quando. Non è prevedibile».
Sicuri che Bruxelles permetta la nazionalizzazione?
«Abbiamo già presentato le richieste di autorizzazione a Bruxelles. Abbiamo fiducia non ci saranno problemi».
Il governatore della Puglia e il sindaco di Taranto chiedono di chiudere l’area a caldo, cioè il cuore della produzione d’acciaio, mantenendo i livelli di occupazione...
«Abbiamo trovato un equilibrio ragionevole tra la decarbonizzazione e la tutela del lavoro. Serve un po’ di tempo, ma queste variabili si possono conciliare. Non è vero che l’area a caldo possa assicurare occupazione solo a danno della salute. Con le migliori tecnologie e il ricorso ai forni elettrici si può essere competitivi e avere cura della salute dei posti di lavoro. Altrimenti, a cosa servirebbe lo Stato?».
Il vostro piano di aumento della produzione da 3,4 a 8 milioni di tonnellate presuppone una forte ripresa. Avete scenari alternativi?
«Segnali di ripresa ci sono già. L’acciaio serve in tutto il mondo e ne serve tanto in Italia. Le ipotesi alla base del piano industriale sono prudenti. E gli obiettivi produttivi che ci siamo dati sono sfidanti ma raggiungibili».
Chi saranno gli azionisti degli impianti esterni di DRI (preridotto) e quando entreranno in funzione?
«Al più tardi nel 2024 con una produzione prevista di quattro milioni di tonnellate. Servirà all’ex Ilva e non solo. Lo Stato sarà azionista, non unico. Sono certo che molti soggetti privati valuteranno una partecipazione. E, chissà, potrà prendere vita da Taranto un piano nazionale dell’acciaio verde».
In base al vecchio contratto concluso con il governo di Paolo Gentiloni Mittal doveva versare 1,8 miliardi ai creditori di Ilva (fra cui lo Stato) e investire 2,4 miliardi per gli impianti e gli interventi ambientali. E in base al nuovo contratto?
«ArcelorMittal ha già investito 1,8 miliardi e in questi mesi è stato un interlocutore duro, ma serio. Rigoroso ma corretto. Abbiamo costruito un piano sul quale entrambi riponiamo fiducia. L’accordo non modifica il contratto tra ArcelorMittal e Ilva in amministrazione straordinaria, né il prezzo di acquisto dei rami di azienda. Lasci perdere i detrattori e i loro sensi di colpa».
Con chi ce l’ha?
«Con i protagonisti di una stagione che non c’è più e della quale, come è ovvio, hanno nostalgia. Al momento in cui noi siamo intervenuti, l’accordo precedente non esisteva più da tempo. Mittal, nel novembre 2019 ha avviato un contenzioso ed annunciato la volontà di esercitare il recesso».
L’impegno dello Stato Eseguito il piano lo Stato può uscire da Taranto, ma ora è impossibile dire quando