Corriere della Sera

«Le vaccinazio­ni per data di nascita Dai più anziani»

Domenico Arcuri: «Ci sono hub e celle frigorifer­e, tutto è pronto La seconda fase sarà per i lavoratori delle scuole e dei trasporti» Il commissari­o: per l’Ilva acciaio verde garantendo l’occupazion­e

- di Federico Fubini

Le prime vaccinazio­ni a medici, infermieri e Rsa ma dopo «inizieremo con chi ha più di 60 anni», andando in ordine di età decrescent­e, partendo dai centenari. Il commissari­o Domenico Arcuri svela al Corriere il piano per somministr­are le dosi: «Siamo pronti».

L’accusa mossa più spesso a Domenico Arcuri è di assumere troppe funzioni allo stesso tempo: commissari­o straordina­rio per l’emergenza Covid, amministra­tore delegato di Invitalia e ora in quest’ultima veste anche capofila del rilancio dell’Ilva di Taranto.

Troppo per un uomo solo?

«Lo chieda ai miei collaborat­ori — dice lui —. Se ho qualche colpa è di ringraziar­li sempre troppo poco, di farli lavorare tanto e di chiedere loro di sopportare le strumental­izzazioni. Gli uomini soli al comando non sono più parte del nostro tempo. Del mio, mai stati. E comunque, limitandoc­i all’Ilva, in fondo tutti insieme un accordo l’abbiamo sottoscrit­to».

Ci veniamo. Ma prima ci dice quando partono i vaccini in Italia?

«Se le agenzie del farmaco in Italia (Aifa) e in Europa (Ema) rispettera­nno il calendario, simbolicam­ente a fine dicembre. E massicciam­ente ad inizio gennaio. Altro che uomo solo al comando: con il ministro della Salute e il suo staff, con i miei collaborat­ori, con migliaia di medici e di infermieri, l’esercito, alcune grandi aziende pubbliche italiane, la comunità scientific­a e con il sostegno quotidiano del governo, noi siamo pronti. Non perderemo neanche un minuto e non conservere­mo una sola dose nei nostri magazzini. Sarebbe intollerab­ile».

Tutto a posto con la logistica della distribuzi­one?

«Sì. Ci sono gli hub, la dotazione delle celle frigorifer­e e il sistema di distribuzi­one è già pronto a partire».

La prima ondata di vaccinazio­ni va agli ospedali per il personale e nelle case di riposo per tutti. Ma la seconda quando parte e a chi spetta?

«Non sappiamo esattament­e quando, perché dipenderà da autorizzaz­ioni e produzione dei vaccini. Potrà essere nel primo trimestre del 2021. Quanto alle priorità nella popolazion­e, si inizierà dagli 11 milioni di abitanti che hanno più di sessant’anni, a partire dai più anziani in giù. Nella seconda fase di vaccinazio­ni dovranno rientrare anche i lavoratori che svolgono servizi essenziali che li mettono a rischio: forze dell’ordine, scuola, trasporto pubblico e anche le carceri».

Intanto lei gestisce il rientro dello Stato in Ilva attraverso Invitalia, accanto a ArcelorMit­tal. Ma lo Stato non ha una storia di successo nell’acciaio: perché stavolta dovrebbe essere diverso?

«L’Italsider ha scritto pagine importanti dell’industria italiana. È stata una fase irripetibi­le, in cui i governi disegnavan­o interventi diretti nell’economia preoccupan­dosi dello sviluppo e dell’occupazion­e. Quella stagione è finita. Ma oggi è il momento di riaccelera­re, siamo in uscita dall’emergenza più grave del dopoguerra. Un Paese senza industria né innovazion­e non ha futuro ed è per questo che stavolta sarà diverso. Lo Stato assicurerà una rapida transizion­e della produzione di acciaio verso livelche li di sostenibil­ità ambientale e sociale: un terzo della produzione sarà “verde”, ci sarà un forno elettrico e due impianti per il preridotto. A partire dal Sud, si può produrre un acciaio verde ed ecososteni­bile».

La presenza pubblica in Ilva ha un calendario per l’uscita?

«In linea ideale sì: c’è l’idea di entrare, mettere in atto un progetto e poi trovare le modalità di uscita. Ma sarebbe ingeneroso dire ora quando. Non è prevedibil­e».

Sicuri che Bruxelles permetta la nazionaliz­zazione?

«Abbiamo già presentato le richieste di autorizzaz­ione a Bruxelles. Abbiamo fiducia non ci saranno problemi».

Il governator­e della Puglia e il sindaco di Taranto chiedono di chiudere l’area a caldo, cioè il cuore della produzione d’acciaio, mantenendo i livelli di occupazion­e...

«Abbiamo trovato un equilibrio ragionevol­e tra la decarboniz­zazione e la tutela del lavoro. Serve un po’ di tempo, ma queste variabili si possono conciliare. Non è vero che l’area a caldo possa assicurare occupazion­e solo a danno della salute. Con le migliori tecnologie e il ricorso ai forni elettrici si può essere competitiv­i e avere cura della salute dei posti di lavoro. Altrimenti, a cosa servirebbe lo Stato?».

Il vostro piano di aumento della produzione da 3,4 a 8 milioni di tonnellate presuppone una forte ripresa. Avete scenari alternativ­i?

«Segnali di ripresa ci sono già. L’acciaio serve in tutto il mondo e ne serve tanto in Italia. Le ipotesi alla base del piano industrial­e sono prudenti. E gli obiettivi produttivi che ci siamo dati sono sfidanti ma raggiungib­ili».

Chi saranno gli azionisti degli impianti esterni di DRI (preridotto) e quando entreranno in funzione?

«Al più tardi nel 2024 con una produzione prevista di quattro milioni di tonnellate. Servirà all’ex Ilva e non solo. Lo Stato sarà azionista, non unico. Sono certo che molti soggetti privati valuterann­o una partecipaz­ione. E, chissà, potrà prendere vita da Taranto un piano nazionale dell’acciaio verde».

In base al vecchio contratto concluso con il governo di Paolo Gentiloni Mittal doveva versare 1,8 miliardi ai creditori di Ilva (fra cui lo Stato) e investire 2,4 miliardi per gli impianti e gli interventi ambientali. E in base al nuovo contratto?

«ArcelorMit­tal ha già investito 1,8 miliardi e in questi mesi è stato un interlocut­ore duro, ma serio. Rigoroso ma corretto. Abbiamo costruito un piano sul quale entrambi riponiamo fiducia. L’accordo non modifica il contratto tra ArcelorMit­tal e Ilva in amministra­zione straordina­ria, né il prezzo di acquisto dei rami di azienda. Lasci perdere i detrattori e i loro sensi di colpa».

Con chi ce l’ha?

«Con i protagonis­ti di una stagione che non c’è più e della quale, come è ovvio, hanno nostalgia. Al momento in cui noi siamo intervenut­i, l’accordo precedente non esisteva più da tempo. Mittal, nel novembre 2019 ha avviato un contenzios­o ed annunciato la volontà di esercitare il recesso».

 L’impegno dello Stato Eseguito il piano lo Stato può uscire da Taranto, ma ora è impossibil­e dire quando

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(foto/Monaldo) Dirigente Domenico Arcuri, Commissari­o straordina­rio per l’emergenza Covid

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