IL CONFLITTO APRE LA STRADA AI PEGGIORI SCENARI
Nel segno dei pescatori siciliani liberati ieri in Libia dopo oltre tre mesi, nel governo ci si è ripromessi di abbassare i toni. Impegno poco credibile. Nessuno si illude che il simulacro di tregua durerà più di una manciata di ore. È una piccola parentesi incorniciata in un conflitto destinato a perpetuarsi fino a gennaio; e probabilmente a incattivirsi fino ai limiti di una crisi di governo: sebbene non sia facile capire se i confini saranno o meno superati. Il gioco è quello delle minacce, dei rinvii, perfino dei dispetti. Si tratta di comportamenti che in una fase dei contagi così drammatica si sarebbe tentati di definire irresponsabili.
La domanda è quanto Italia viva sia pronta ad accontentarsi di un ripiegamento del premier Giuseppe Conte. Chiede la sua marcia indietro sulla gestione degli oltre 200 miliardi del Fondo per la ripresa europeo, che vorrebbe affidare a uno stuolo di tecnici; chiede il sì al prestito del Mes per la sanità, come il Pd; e vuole, insieme col Pd, che la delega per il controllo dei servizi segreti sia sottratta a Conte. Ma non è chiaro se e quanto il premier sia disposto ad accettare le richieste dell’alleato minore della coalizione,
L’incognita
Rimane il punto interrogativo sulla ricaduta che l’offensiva lanciata da Italia viva potrà avere sulla legislatura
per quanto decisivo numericamente. L’elemento più preoccupante, tuttavia, è che tra gli alleati, e soprattutto tra Palazzo Chigi e Iv, si ha una diversa percezione dei rischi.
Il partito renziano sta ottenendo la visibilità che cerca in assenza del conforto dei sondaggi. Confida di farlo fino all’approvazione della legge di Bilancio. E per il «dopo» in apparenza non esclude nulla, sicuro che se anche il governo cadesse ne nascerebbe un altro: al voto anticipato non vogliono andare né Iv, né M5S, né altri. La sensazione è che il cambio di passo richiesto in modo pressante a Palazzo Chigi sia dai renziani, sia dal Pd vada interpretato, nel primo caso, come sostituzione del premier.
Conte ha un obiettivo opposto: rimanere a Palazzo Chigi. E, per riuscirci, è pronto a cedere il cedibile. Che cosa significhi, però, è difficile da capire. Sul Mes pesa il «no» ideologico dei Cinque Stelle, di cui Conte è espressione, nonostante le tensioni col ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. E sulla delega ai servizi segreti, il premier finora si è mostrato geloso delle proprie prerogative, seminando sospetti e diffidenze negli alleati. Anche per questo non è facile prevedere quale ricaduta avranno le convulsioni di questi giorni. Renzi forse pensava di ricevere da M5S e Pd un appoggio larvato che al momento sembra restringersi.
Perfino il Quirinale segue quanto avviene con un misto di allarme e di sconcerto: si trova davanti scenari contraddistinti da un’enorme confusione. Non è chiaro dove finisca la finzione e comincino le minacce vere. Né se Conte e la sua cerchia siano in grado di dare una risposta all’offensiva alleata tale da sventarla; o comunque da riportarla nell’alveo di un negoziato tra alleati. L’epidemia del Covid dovrebbe spingere a una maggiore responsabilità. Ma il modo contraddittorio, di fatto irrispettoso verso l’opinione pubblica, col quale Palazzo Chigi e il governo la stanno gestendo a ridosso di Natale suggerisce i peggiori scenari.