Corriere della Sera

«È la spinta della placca africana Ma una forza simile era inattesa»

Doglioni: pressione su tutto il Nord. Luzi: eventi rari, ma non si può mai sapere

- di Giovanni Caprara

«Guardando le mappe, il sisma è avvenuto in una zona dove non ci si aspettava una forte accelerazi­one del terreno» spiega Lucia Luzi, direttore della sezione di Milano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanolog­ia (Ingv). L’epicentro, dalle prime valutazion­i, è stato collocato tra Corsico e Pero, 6 chilometri ad ovest del capoluogo, mentre la profondità dove si è scatenato è stimata intorno ai 56 chilometri. «Sotto l’area milanese ci sono diverse faglie e quindi il territorio non fa eccezione rispetto al resto dell’Italia che è tutta a rischio sismico — prosegue la scienziata —. Tuttavia l’ultimo terremoto più significat­ivo della zona si è registrato nel 1951 nel Lodigiano e aveva raggiunto la magnitudo di 5.4 della scala Richter. Nel Milanese storicamen­te si avvertono di più i risentimen­ti di altri sismi che avvengono più lontano, come quello del 2012 a Mirandola. Guardando ai secoli passati, un effetto analogo a quello di oggi lo si può cogliere nel 1473, con le incertezze del caso naturalmen­te».

Per spiegare l’origine dell’evento attuale bisogna ricorrere in generale alla spinta esercitata dalla placca africana verso il Nord, contro la placca europea la quale, poi, è suddivisa in placche minori come quella adriatica che a loro volta esercitano pressioni in varie direzioni. «Di conseguenz­a, in questo contesto geologico, tutta la zona dal Piemonte al Friuli-Venezia Giulia — precisa Carlo Doglioni, presidente dell’Ingv — subisce una contrazion­e da nord a sud che può andare da meno di un millimetro all’anno nell’area lombarda a circa due millimetri verso la zona friulana». «Ma le strutture tettoniche sono variegate fra loro e anche quella del 1951 era differente rispetto all’attuale — continua Lucia Luzi —. Le faglie nell’area milanese sono perciò diverse e per ora la loro attività è stata contenuta come la storia dimostra. Certamente le zone più pericolose della penisola sono lungo l’Appennino; però non possiamo escludere nulla. La scossa nel milanese, essendo generata direttamen­te nel nostro sottosuolo, si è avvertita più brevemente ma più intensamen­te mentre le altre di risentimen­to che arrivano per l’epicentro più lontano sono più lunghe nel tempo».

Tra l’altro per il sisma del 1951 erano emerse polemiche perché alcuni ritenevano allora che la causa fosse legata alle estrazioni petrolifer­e effettuate dall’Eni. «Invece le verifiche condotte successiva­mente — precisa il presidente Doglioni — hanno dimostrato l’assenza di qualsiasi legame, la sua origine era molto più in profondità».

Nell’area dell’Italia settentrio­nale, Lombardia inclusa, le valutazion­i dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanolog­ia hanno registrato nella storia del millennio passato 110 terremoti significat­ivi, dal Piemonte al Friuli-Venezia Giulia, partendo da quello di Brescia del 1065. Il più distruttiv­o colpì Verona nel 1117 raggiungen­do una magnitudo 6.7 della scala Richter.

Nel 2004 l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanolog­ia ha elaborato la prima mappa di pericolosi­tà sismica del territorio e da allora con strumenti sempre più diffusi e sofisticat­i viene aggiornata fornendo le indicazion­i appropriat­e per le costruzion­i antisismic­he.

A livello locale, poi, le regioni compiono un ulteriore lavoro di dettaglio con le mappe di microzoniz­zazione. Ma queste non sono ancora state realizzate in molte zone della penisola.

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Tecnici
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