«Truffa all’Europarlamento» Maxi sequestro per Lara Comi
Deve restituire 525 mila euro. Ma per ora rispondono in solido 5 suoi collaboratori
MILANO Va a finire, visto che Lara Comi è risultata non possedere case o auto o altri beni aggredibili da un sequestro, che sui suoi ex collaboratori si stringono le ganasce dei pm per la truffa di cui lei si sarebbe invece maggiormente giovata. Truffa che — se hanno ragione l’ufficio europeo antifrode Olaf, la Guardia di Finanza e la Procura di Milano — non fa una bella pubblicità alla politica italiana, giacché sarebbe il raggiro con la quale la 36enne ex europarlamentare di Forza Italia (due mandati dal 2009 al 2019, vicepresidente del gruppo del Ppe-Partito Popolare Europeo) avrebbe a lungo indotto in errore il Parlamento Europeo su contratti e reale attività di due «assistenti locali», in modo da lucrarne contributi di Strasburgo per almeno 525.000 euro.
Soldi di cui la gip Raffaella Mascarino ieri ha disposto, a fini di confisca, il sequestro per equivalente fino al valore stimato della «truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche». Ma siccome a Comi non è stato trovato altro che 40.000 euro, e siccome giuridicamente questo tipo di sequestro è «in solido» con gli altri coindagati che hanno reso possibile la truffa, è appunto sui due assistenti e tre collaboratori di Comi che ieri è pesato l’onere maggiore.
In teoria i contratti prevedevano 40 ore settimanali di assistenza al lavoro del deputato, ma sin dalla sottoscrizione l’assistente di turno — in questo caso due: Enrico Giovanni Saia e Maria Carla Ponzini —, che poi non svolgeva questa attività se non sporadicamente, veniva informato che avrebbe incassato solo una minima parte dello stipendio concordato. Infatti il resto del denaro confluito sui conti del coindagato Gianfranco Bernieri, che nella veste di «terzo erogatore» era incaricato di gestire i rapporti contrattuali con gli assistenti di Comi, veniva invece incamerato da Comi o direttamente con la consegna di contanti da Bernieri all’eurodeputata o a suo padre Renato; oppure attraverso bonifici dal conto di Bernieri a quelli di Comi o dell’associazione «Europe4Yyou» ad ella riconducibile; o ancora tramite carte di credito messe a disposizione di due collaboratori e utilizzate per spese personali.
La vicenda è emersa a latere dell’inchiesta «mensa dei poveri», già costata a Comi l’arresto dal 14 novembre al 5 dicembre 2019, e la richiesta di rinvio a giudizio (ad opera dei pm Silvia Bonardi, Luigi Furno e Adriano Scudieri) anche per una storia analoga ma estranea al sequestro di ieri: l’aumento del 20% dello stipendio al portavoce Andrea Aliverti, fatto figurare allo scopo però di farsi retrocedere gran parte dei soldi finanziati dalla Ue e impiegarli per contribuire alle spese di Forza Italia varesina reclamate dal big territoriale Nino Caianiello.
Alle prime contestazioni dell’Olaf, l’ex europarlamentare restituì al Parlamento Europeo circa 100.000 euro del contratto della moglie del commercialista. Mentre sul resto il difensore Giampiero Biancolella ritiene che «già da una prima lettura dei nuovi capi d’imputazione emerga l’infondatezza dell’accusa, che contesteremo con fermezza nelle opportune sedi, confidando che, come già accaduto per altre imputazioni, verranno ritenute prive di fondamento».