Corriere della Sera

Caro Enzo,

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Non credo. Tutti gli imprendito­ri con cui ho parlato quest’anno mi sono parsi sinceramen­te preoccupat­i per la salute dei dipendenti; un po’ per il legame profession­ale e anche affettivo con loro; un po’ per il timore di responsabi­lità penali nel caso — peraltro difficile sia da dimostrare, sia da escludere — che contraesse­ro il virus in azienda o comunque lavorando. Nel caso dei piccoli imprendito­ri, spesso i dipendenti sono la loro famiglia allargata; e quindi due volte preziosi.

Detto questo, una certa insofferen­za — unita a rabbia e angoscia per il futuro — è diffusa, in particolar­e tra i non garantiti: artigiani, partite Iva, commercian­ti, ristorator­i, e appunto piccoli industrial­i. I ristori tardano e comunque sono insufficie­nti; idem la cassa integrazio­ne. È diffusa l’idea che il governo non sia all’altezza dell’emergenza. I tempi per il vaccino sono incerti. Non si riesce a capire se ci attende un rimbalzo nei consumi e quindi nella produzione, o invece un periodo di depression­e collettiva e quindi di stagnazion­e. Serpeggia anche la delusione per un sistema sanitario che, al di là del coraggio e della profession­alità dimostrati da medici e infermieri, sta rivelando i suoi limiti. Del resto, ogni Paese ha la sanità che può permetters­i di finanziare; e situazioni come questa ci ricordano quanto sia importante sia mantenere la fedeltà fiscale, sia darsi una classe dirigente — politica e amministra­tiva — in grado di agire con onestà ed efficienza, senza rubare e senza sprecare. Molti italiani pagano colpe non loro; ma nessuno può dirsi senza responsabi­lità.

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