L’uovo o la gallina? Dipende
Marco Malvaldi nel labirinto del sapere: la traccia da seguire sono le parole e i numeri
Elena, la donna più bella del mondo, fu o no la causa della guerra di Troia? Secondo la tradizione la sposa di Menelao era colpevole perché tradendo il marito e fuggendo, benché rapita, con Paride, era stata la causa della tremenda guerra. Gorgia, il celebre sofista, volle sfidare la tradizione e per dimostrare la grande forza persuasiva del linguaggio, con cui si può dire tutto e il suo contrario, scrisse l’Encomio di Elena mostrandone l’innocenza. Infatti, se la figlia di Zeus agì sotto l’influsso di una forza superiore — Caso, Dei o Necessità — non può essere colpevole; ma non può esserlo neanche sottostando alla forza della volontà del suo rapitore oppure soggiacendo al fascino della persuasione delle parole o al desiderio di Amore. Il disonore gettato su Elena non può essere ritenuto giusto e così Gorgia — che volle dissolvere con la vita avventurosa della donna più bella del mondo il rapporto di identità che veniva comunemente accettato tra realtà, pensiero e parola — può concludere: «Ho distrutto con la parola l’infamia d’una donna, ho tenuto fede al principio propostomi all’inizio del discorso, ho tentato di annientare l’ingiustizia di un’onta e l’infondatezza di un’opinione; ho voluto scrivere questo discorso, che fosse a Elena di encomio, a me di gioco dialettico». Ma se non possiamo fidarci fino in fondo del nostro stesso linguaggio per scoprire la verità e distinguere le cause e gli effetti, allora, a che cosa mai possiamo affidarci?
Marco Malvaldi, chimico e scrittore, ha scritto un libro affascinante per dirci una volta per tutte se è nato prima l’uovo o la gallina: La direzione del pensiero, pubblicato da Raffaello Cortina Editore in quella collana di Scienza e Idee che è un altro dei bei frutti dell’avventura intellettuale del compianto Giulio Giorello. Al centro del libro, che incrocia filosofia e matematica, vi è un’indagine sul concetto di causalità come predizione, come intervento, come coscienza. Perché, anche se non ce ne rendiamo conto, una volta che abbiamo inteso i rapporti di causa ed effetto ricorriamo proprio alla causalità per prevedere il futuro. E proprio con la causalità interveniamo nella realtà, che può essere quella della nostra vita o quella più ampia della società e persino quella della natura per cercare di modificare nientemeno che il corso degli eventi. Si tratta di un’illusione o, per usare un’espressione che Foscolo riferiva alla poesia, di un’illusione necessaria?
Gli uomini cercano da sempre, almeno da quando hanno iniziato a camminare su due piedi o, forse, anche da prima, di dividere il corso degli eventi in cause e conseguenze e così provano a capire se le cause sono a loro volta conseguenze di qualcos’altro. Può sembrare semplice, ma non
Filosofia e matematica vanno insieme: come diceva Kant, la seconda senza la prima è cieca e la prima senza la seconda è vuota
lo è. Ad esempio: il rapporto tra la concentrazione di CO2 nell’atmosfera e la temperatura terrestre si mostra più o meno stabile. Questo prova che la prima è la causa del riscaldamento globale?
La stessa relazione può mostrare che sia proprio l’aumento della temperatura la causa della concentrazione di CO2: la cosa è chimicamente plausibile e la solubilità dei gas in acqua salata cala con l’alzarsi della temperatura.
Dunque, qual è la causa e qual è l’effetto? Possiamo essere in grado di decidere per l’uno o per l’altro? La risposta è: non sempre. Perché, per dirla con Karl Popper, la soluzione di un problema è la causa di un altro problema. O, per usare le parole di Malvaldi: «Partiamo con un problema da risolvere, e finiremo con il definirne uno più grande».
Qui il problema più grande è indicato da Gorgia: la natura del linguaggio. La ricerca della causalità, seguendo «la direzione del pensiero», conduce la storia del pensiero non solo a non risolvere definitivamente il problema — l’uovo e la gallina e anche Elena nacque da un uovo — «ma anzi, a porsi una nuova domanda sulla possibile origine di uno dei processi più misteriosi della mente umana: la coscienza». La manifestazione della coscienza umana è proprio il linguaggio. Ecco perché lo scienziato Malvaldi giunge a Dante che aveva già capito che la lingua — la Parola — è un accesso privilegiato alle zone più recondite del nostro cervello. Gli angeli e gli animali non hanno bisogno della lingua: i primi s’intendono con il puro pensiero, i secondi sono muti come l’istinto. Solo gli uomini parlano per capirsi e per fraintendersi e se non si fraintendessero non potrebbero nemmeno immaginare di capirsi. Il linguaggio è equivoco per natura ma noi, per natura, non ne possiamo fare a meno. Perfino la matematica, che apparentemente è ciò che è più distante dalla lingua, deve ricorrere al verbo per farsi capire. Esattamente come c’è la necessità di esprimere i concetti tramite numeri e calcoli, proporzioni e misure. Non avremo mai, per fortuna, una mathesis universalis, secondo il sogno di Cartesio e di Leibniz, ma senz’altro filosofia e matematica, pensiero e numero sono destinati, come avviene da sempre, a unirsi e distinguersi perché, per usare un famoso luogo di Kant, la seconda senza la prima è cieca, la prima senza la seconda è vuota.