L’arbitro non può accettare l’offesa No ai momenti sì alle regole
Si auspica la nascita dell’arbitraggio secondo i momenti particolari della partita. Così ha fatto capire Rino Gattuso quando ha contestato l’espulsione di Insigne da parte di Massa: «Ha detto solo un vaffa, si tratta del capitano del Napoli, l’arbitro deve capire il momento...». Il momento. Approfondiamo, con un altro esempio. Subito non si può ammonire, anche se il fallo è intimidatorio: l’arbitro dovrà agitare le braccia per comunicare «questo è l’ultimo», anche se è il primo. Una minaccia disciplinare rinviata al secondo fallo, eventuale. Con questo metro dovrà, per coerenza tecnica, riservare lo stesso trattamento agli altri ventuno giocatori autori di falli analoghi. Quindi partenza con 21 atti di perdono che possono nascere dal buon senso, oppure un regalo solo per uno? Ancora più complicata l’assegnazione di un rigore. Anche se si tratta di un rigore evidente e ribadito dalla Var, deve essere permesso, ai giocatori che lo subiscono, di scaricare il nervosismo mandando a quel paese l’arbitro. Tanto, si insiste, all’arbitro arrivano spesso offese anche per altri errori o interpretazioni discutibili. La sintesi di questa partita, in parte immaginaria, porta a pensare che gli arbitri in futuro dovranno avere solo buon senso e il perdono incorporato. Non si può fare così. Nel gioco del calcio, con regole chiare e note , non si possono rinviare decisioni che comportano provvedimenti disciplinari e che l’arbitro deve applicare fin dall’inizio. Non basta avere lo stesso metro per tutta la gara per essere considerato un buon arbitro. Il metro è solo quello della regola che prevede contemporaneamente fallo e sanzione disciplinare, se prevista. Quanto alle offese, mi sembra evidente che un’offesa accettata equivale a cancellare la figura dell’arbitro, di colui che certifica la regolarità della partita. A tutti i costi.