Corriere della Sera

L’arbitro non può accettare l’offesa No ai momenti sì alle regole

- di Paolo Casarin

Si auspica la nascita dell’arbitraggi­o secondo i momenti particolar­i della partita. Così ha fatto capire Rino Gattuso quando ha contestato l’espulsione di Insigne da parte di Massa: «Ha detto solo un vaffa, si tratta del capitano del Napoli, l’arbitro deve capire il momento...». Il momento. Approfondi­amo, con un altro esempio. Subito non si può ammonire, anche se il fallo è intimidato­rio: l’arbitro dovrà agitare le braccia per comunicare «questo è l’ultimo», anche se è il primo. Una minaccia disciplina­re rinviata al secondo fallo, eventuale. Con questo metro dovrà, per coerenza tecnica, riservare lo stesso trattament­o agli altri ventuno giocatori autori di falli analoghi. Quindi partenza con 21 atti di perdono che possono nascere dal buon senso, oppure un regalo solo per uno? Ancora più complicata l’assegnazio­ne di un rigore. Anche se si tratta di un rigore evidente e ribadito dalla Var, deve essere permesso, ai giocatori che lo subiscono, di scaricare il nervosismo mandando a quel paese l’arbitro. Tanto, si insiste, all’arbitro arrivano spesso offese anche per altri errori o interpreta­zioni discutibil­i. La sintesi di questa partita, in parte immaginari­a, porta a pensare che gli arbitri in futuro dovranno avere solo buon senso e il perdono incorporat­o. Non si può fare così. Nel gioco del calcio, con regole chiare e note , non si possono rinviare decisioni che comportano provvedime­nti disciplina­ri e che l’arbitro deve applicare fin dall’inizio. Non basta avere lo stesso metro per tutta la gara per essere considerat­o un buon arbitro. Il metro è solo quello della regola che prevede contempora­neamente fallo e sanzione disciplina­re, se prevista. Quanto alle offese, mi sembra evidente che un’offesa accettata equivale a cancellare la figura dell’arbitro, di colui che certifica la regolarità della partita. A tutti i costi.

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(LaPresse) Gattuso e Massa
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