Corriere della Sera

Scacco a Haftar Il generale e il silenzio che lo circonda

- di Lorenzo Cremonesi

Siamo proprio sicuri che Khalifa Haftar sia uscito rafforzato dalla visita di Conte e Di Maio a Bengasi? A giudicare dal silenzio dei suoi avversari in Tripolitan­ia e Turchia, verrebbe da rispondere con un secco no. Tacciono il premier Fayez Sarraj e i suoi consiglier­i. Non si esprimono le milizie legate al fronte dei Fratelli musulmani. Soprattutt­o, non reagisce il presidente turco Erdogan, che in autunno ha inviato i suoi soldati assieme ai mercenari siriani per fermare l’offensiva delle forze armate di Haftar contro Tripoli. Il rais della Cirenaica si dice l’unico interlocut­ore nell’Est del Paese, ben posizionat­o per mirare al controllo della Libia intera. In effetti almeno un risultato l’ha conseguito, ricevendo in pompa magna i due massimi esponenti di un importante Paese europeo: dimostra la marginalit­à del presidente del Parlamento di Tobruk, quell’Aguila Saleh che ad agosto pareva in grado di metterlo in ombra. Alla prova dei fatti, cambia poco negli equilibri del complicato puzzle libico. Già da ottobre Saleh appariva indebolito. «Haftar ha liberato i marinai italiani. E in cambio la Libia cosa ha ottenuto? Nulla», scrivono in tanti sui social della Tripolitan­ia. Non hanno tutti i torti. Sarraj e i suoi si sono resi conto che per il governo di Roma era vitale riportare a casa i pescatori per Natale. Di fronte all’atto di pirateria e al ricatto di Haftar, la scelta italiana di andare a Bengasi è stata una mossa pragmatica per ottenere subito un risultato tangibile. In cambio, gli è stato spiegato che l’Italia non è una dittatura e il potere legislativ­o è indipenden­te da quello giudiziari­o. I quattro «calciatori-scafisti» libici restano in cella. Saranno i tribunali, eventualme­nte, a rivederne la sorte. Anche la riapertura del consolato di Bengasi è condiziona­ta alla nascita di un governo unitario in Libia. Insomma, parole. In pochi giorni la vicenda sarà dimenticat­a. L’imbroglio libico, però, resterà più grave e delicato che mai.

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