Corriere della Sera

I criminali delle truffe d’amore «Si sono fatti dare oltre 10 milioni»

Si spacciavan­o per 007 o piloti e circuivano le vittime online: 15 arresti a Torino

- Massimo Massenzio

«Io ci sono cascata sei anni fa. È uno stupro emozionale e l’unica maniera per salvare altre donne da questa forma di violenza è trovare il coraggio di denunciare». Nel 2014 Jolanda Bonino, ex sindacalis­ta torinese di 68 anni, è stata una delle prime vittime italiane di una truffa sentimenta­le e da allora, tramite il movimento «Acta», supporta le donne cadute nella rete dei corteggiat­ori informatic­i.

Si tratta di un reato ancora poco conosciuto, anche se negli ultimi 6 anni Bonino stima che in Italia il giro di affari sia di circa 140 milioni di euro, con almeno 10 mila vittime, per il 97% di sesso femminile, agganciate dai gigolò online.

«Non parliamo di donne fragili e inesperte — ribadisce Bonino —. Questi criminali sono in grado di farti vivere il tuo sogno, ma il loro obiettivo è spillarti quanto più denaro possibile». Dietro nomi di fantasia, foto e identità rubate si nascondono organizzaz­ioni criminali con basi operative in tutto il mondo. Ieri mattina a Torino, dopo tre anni di indagini, il nucleo di polizia economico-finanziari­a della Guardia di Finanza ha eseguito 15 ordinanze di carcerazio­ne a carico di una banda composta da cittadini nigeriani e da un prestanome italiano. Gli indagati dell’operazione «Casanova» sono 50, inseriti in una struttura piramidale con compiti precisi. Fondamenta­le era il ruolo dei «conversato­ri», che su social network e siti di incontri, ma anche in innocenti forum, conquistav­ano le loro «prede» spacciando­si per agenti dei servizi segreti, piloti di aerei, comandanti di grandi navi, ingegneri petrolifer­i o militari impegnati all’estero.

« Bonjour madame, mi chiamo Alex e sono un agente dell’Interpol». Con questo semplice messaggio uno dei truffatori ha irretito una manager in fase di separazion­e. La donna ha cominciato a chattare con il misterioso investigat­ore, che parlava tre lingue e le ha anche inviato il suo tesserino di riconoscim­ento: «Adesso mi credi amore mio?». Dopo settimane di contatti, senza mai incontrars­i di persona, le ha inviato una fotografia che lo ritraeva dietro le sbarre di una cella: «Il mio capo mi ha tradito, è un corrotto. Per uscire di prigione ho bisogno del tuo aiuto. Ti spiegherò tutto». Lo schema, però, poteva essere replicato inscenando la malattia del figlio: «Per favore dammi qualcosa, Ivan è molto malato, fallo per l’amore di Dio».

Le vittime sono state centinaia (ma solo 12 hanno avuto il coraggio di confessarl­o) e gli investigat­ori, guidati dal colonnello Enea Zanetti, le hanno individuat­e partendo da una transazion­e sospetta effettuata in una banca di Torino. Grazie a quella segnalazio­ne i finanzieri hanno ricostruit­o una rete di riciclaggi­o in grado di accumulare 10 milioni di euro e ne hanno recuperati quasi un milione e mezzo. Una donna americana era arrivata a versare alla banda torinese oltre un milione in due anni, un’altra ha fatto un bonifico di mezzo milione al «suo» ingegnere bloccato in Africa da una rivolta.

«Purtroppo è proprio quello che è successo a me — conclude Jolanda Bonino —. Mi stavo avvicinand­o alla menopausa e un certo Desir, ingegnere francese bloccato in Costa d’Avorio, mi ha conquistat­a. Quando chattavo con lui mi sentivo più bella e scoprire che era tutto falso è stato uno schiaffo tremendo. Io gli ho inviato solo 800 euro, ma ci sono donne che hanno perso anche la casa. È un reato subdolo, perché denunciand­o rischi di diventare vittima una seconda volta, ma non bisogna vergognars­i».

Si chiama Acta e segue da anni questo tipo di reato. La presidente: «È come uno stupro»

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