Corriere della Sera

Upcycling e a vita alta Il jeans sostenibil­e che piace ai giovani

Blue of a Kind, il progetto di Fabrizio Consoli

- Maria Teresa Veneziani

Il retro del chiodo è realizzato con la parte alta di un vecchio jeans, usato sottosopra. Anche la minigonna arriva da un pantalone «vintage» tagliato, come facevano in casa con le Singer le ragazze degli Anni 60, quando usavano la moda per le loro battaglie. Il jeans upcycling è una risposta della moda per ridurre i suoi effetti nocivi sul pianeta, prima di tutto gli sprechi. Fabrizio Consoli, 45enne vicentino di nascita, una laurea in Economia e la scelta di vivere a Milano per votarla alla moda, racconta che Blue of a Kind, il progetto di denim re-made (in Italy) nato tre anni fa e che ora, dopo la tragedia della pandemia, acquisisce maggior senso al fine di contribuir­e a creare un’economia circolare parallela al sistema attuale, lineare e dispendios­o (si attinge al pianeta per realizzare capi che dopo l’uso, o nuovi, vengono bruciali o finiscono in discarica, si stima, al ritmo di un camion al secondo).

La maggiore difficoltà? «Siamo partiti con un limite, lavorare solo con quello che già esiste. Realizziam­o i nostri capi smontando e rimontando vecchi jeans da uomo, ma oggi il vintage è diventato un trend e la materia prima scarseggia. Abbiamo inserito anche una produzione con pezze di stock Candiani, riconosciu­ta per la sua attenzione alla sostenibil­ità. Applichiam­o creatività alla creatività: i jeans rimasti invenduti anche per il Covid, una volta rielaborat­i possono rientrare in negozio come capi di prima scelta». Il nome del brand Blue of a kind, s’ispira a Kind of Blue, il mitico album jazz di Miles Davis del 1959: fu il decennio in cui i jeans diventaron­o popolari tra i giovani, simbolo di ribellione, resi irresistib­ili e immortali da James Dean (Gioventù bruciata è del 1955) e Marilyn Monroe. E proprio il taglio alto in vita e quel modo di portarli con naturalezz­a, oggi è il più amato dai giovani. «Nasciamo come brand femminile, abbiamo inserito il modello maschile Apollo e la sorpresa è che sta meglio alle ragazze, in perfetto stile boyish, racconta l’imprendito­re che, in linea con l’evoluzione dello shopping da Covid-19, sta puntando anche sull’e-commerce. La collezione si è evoluta in genderless e seasonless. È realizzata in un laboratori­o a Bergamo. «Mi guardavano come se fossi visionario, poi sono diventati i miei soci».

Consoli prende tra le mani un jeans «revolution of the existing». «I punti dove non c’è usura vengono messi in evidenza, così, nel processo di ri-creazione il capo torna a mostrare i dettagli in precedenza nascosti, in accordo con l’estetica giapponese del Wabi-sabi: il fascino dell’imperfezio­ne e della transitori­età». Il cuore del progetto resta la sostenibil­ità. «Per creare un paio di jeans occorrono fino a 150 litri di acqua. Il nostro upcycling indaco subisce solo un lavaggio domestico». E bastano tre litri d’acqua per la tintura dei capi in pezze di recupero: i toni ocean, vermut rose, grey, écru sono creati sminuzzand­o vecchi indumenti di cotone. Nella tasca interna c’è la carta di identità che ne racconta la storia.

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Sopra il giubbino Blue of a King realizzato con un vecchio paio di pantaloni da uomo smontato e rimontato. A destra, altri capi Remade in Italia, prodotti artigianal­mente con processi sostenibil­i e certificat­i cruelty-free. la collezione è genderless e seasonless
Sotto-sopra Sopra il giubbino Blue of a King realizzato con un vecchio paio di pantaloni da uomo smontato e rimontato. A destra, altri capi Remade in Italia, prodotti artigianal­mente con processi sostenibil­i e certificat­i cruelty-free. la collezione è genderless e seasonless

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