IL PAPU, MAZZOLA E RIVERA LA SOLITUDINE DELLE BANDIERE
Caro Aldo, dopo l’addio di Totti alla Roma e quello, annunciato, di Leo Messi, al Barcellona, restano sulla breccia pochi giocatori-bandiera, legati, oltre che alla squadra, alla città. Potrebbe, presto, congedarsi dai tifosi dell’Atalanta Papu Gomez, argentino, il cui valore tecnico è aumentato in sintonia con l’ascesa del club di Percassi. Di recente, il fuoriclasse ha litigato con l’allenatore, Gasperini, un altro dei protagonisti del «miracolo» dei nerazzurri. Gomez lascerà Bergamo e andrà al Milan, oppure accoglierà l’invito a restare, rivoltogli da Vittorio Feltri ? Il giornalista, su «Libero», gli ha scritto: «Resta a Bergamo, che vede in te qualcosa di più di un calciatore, sei un mito... Se resterai con noi nerazzurri, non ti pentirai. Tu mi capisci, perché sei più bergamasco di me». Pietro Mancini
NCaro Pietro, on ho idea se il Papu Gomez resterà a Bergamo o partirà. Il fatto che a Torino abbia canticchiato in campo l’inno della Juve sembrerebbe un segnale: il numero 10 dell’Atalanta vuole andarsene (anche se la Juve in quel ruolo ha già Dybala, quindi è più facile che la destinazione sia un’altra); oppure cerca semplicemente di alzare le proprie quotazioni. Questa storia suggerisce però una considerazione più generale. L’era delle bandiere è finita per sempre. Non sono più i tempi in cui Gianni Rivera e Sandro Mazzola, che nella vita erano amici — fondarono insieme l’Associazione calciatori —, dovevano fingere di detestarsi, perché se li vedevamo insieme per strada venivano insultati dai rispettivi tifosi. (Una sera il Paròn Rocco invitò Mazzola all’Assassino, il suo ristorante preferito, e gli propose di passare al Milan. Ha raccontato il grande Sandro che all’Inter non lo presero sul serio: «Come no, tu vai al Milan e noi chiediamo Rivera!». In un derby Mazzola segnò al primo minuto, ed esultò davanti a Rocco urlando: «Ciao, Paròn!». Lui gli mise Trapattoni a uomo, e Mazzola non toccò più palla. Alla fine Rocco gli si avvicinò e gli mormorò: «Ciao, mona!»). Ora i calciatori sono giustamente padroni di se stessi, liberi di scegliersi più o meno la squadra che vogliono. Però cambiare troppo spesso fa guadagnare di più — soprattutto gli agenti —, ma non sempre giova alle carriere. A lungo Zlatan Ibrahimovic ha cambiato squadra freneticamente, vincendo sempre il campionato in cui giocava, ma senza riuscire a conquistare la Champions e il Pallone d’oro, e in definitiva a essere riconosciuto per quel che è: uno dei più grandi calciatori della storia. Quanto a Francesco Totti, resta il dubbio: se fosse andato al Real Madrid, avrebbe vinto ancora di più? O lontano da Roma non sarebbe stato Totti?