Corriere della Sera

«Ciao Elvira, hai dato tanto alla nostra famiglia. Grazie»

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Elvira è morta portando con sé un mondo difficile da raccontare ai nostri figli. Avrebbe compiuto 90 anni il primo gennaio. Aveva il Covid e negli ultimi giorni pregava in latino: con l’avvicinars­i della fine, il lungo tempo trascorso nel convento delle suore di Maria Bambina, a Lovere, da metà degli Anni 30 fino alla fine degli Anni 40, era riaffiorat­o nella sua mente in tumulto. Ma lei, arrivata lì a sei anni, prima nell’orfanotrof­io gestito dalle monache dopo la morte della madre e poi rimastaci per diventare suora, non prese i voti. Troppo ribelle e amareggiat­a dalla vita, decise di affrontare il mondo di fuori. Con sé aveva solo l’unica fotografia di sua madre. Scrivo di Elvira perché giunse nella mia famiglia nel 1956 e ci è rimasta per sempre. Arrivò portata da una «mettidonna», come allora si chiamavano le trafficone che giravano per le cascine alla ricerca di ragazze in cerca di un lavoro. Con noi ha affrontato tracolli economici e tempi felici, trasferime­nti da Busto a Milano, a Finale Ligure, poi di nuovo a Milano, a Varese, fino ai paesini nell’alta collina dell’Oltrepò. Faceva i mestieri di casa, curava mia sorella, la più piccola, ma imparò anche a fare le pizze quando gestimmo una pizzeria, i piatti siciliani da mia nonna catanese e quelli lombardi dalla mia madre pavese quando aprimmo dei ristoranti. Gli ultimi anni li ha trascorsi serenament­e a Viggiù, in una casa di riposo gestita, strani i giri della vita, da suore, ma le domeniche e le feste, fino a che non è arrivata la pandemia, le ha trascorse con la sua famiglia: la mia. Gualtiero

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