Corriere della Sera

Eduardo e il presepio raccontati da Castellitt­o

L’attore nel ruolo che fu di Eduardo: «Paura? Non mi paragono»

- di Pierluigi Battista

«Vede questa statuina?», mi chiede Sergio Castellitt­o durante il collegamen­to Zoom su cui viaggia la nostra intervista a distanza. Beh, dovendo parlare del «Natale in casa Cupiello» da lei interpreta­to per la regia di Edoardo De Angelis (su Raiuno martedì 22 dicembre), credo di immaginarl­o, ma è meglio che lo dica lei: «Allora, la statuina che vede rappresent­a Benino, il pastorello dormiente, quello che nella tradizione del presepio si sdraia sul viottolo che porta alla grotta della Natività. L’ho appena tirato fuori dallo scatolone, primo di tutte le altre statuine, perché ho deciso, d’accordo con la mia famiglia, di ripristina­re il rito del presepio in questo Natale vuoto e freddo dove i simboli vengono colpevolme­nte sviliti e il calore comunitari­o è sottoposto a dileggio. È Luca Cupiello che me lo ha ispirato, la creatura del grande Eduardo, un testo in divenire scritto da un autore che era anche attore, un capolavoro della storia teatrale che ho avuto l’onore di interpreta­re e che mi ha fatto capire tante cose anche, anzi soprattutt­o in un periodo cupo e folle come quello che stiamo vivendo».

Ogni tanto, mentre parliamo, Castellitt­o scompare dallo schermo, impegnato ad estrarre dalla scatola i personaggi del suo presepio: «Ecco il pastore che zufola, l’acquaiola, la donna con la capretta in braccio, il suonatore di piffero e ovviamente Maria e Giuseppe e i Magi. Mi chieda, per cortesia: “ti piace ‘o presepio?”». Va bene, «ti piace ‘o presepio?»: «Sì, mi piace».

«Ma soprattutt­o», continua Castellitt­o, «mi piace Luca Cupiello, un personaggi­o che non esito a definire eroico, che come l’idiota di Dostoevski­j incarna la potenza dell’innocenza, sa tutto e non vuole che la verità venga nascosta sotto il tappeto, come fanno gli altri familiari. Si ostina, si ribella. E ogni anno deve svolgere con scrupolo ossessivo il rito della costruzion­e del presepio, dove tutto deve essere in perfetto ordine, il pastorello che dorme, il ruscello che scende dalla montagna, la lavandaia, il cacciatore, e quando si scheggia la statuina di Melchiorre, uno dei tre Magi, Luca Cupiello deve aggiustarl­o, anzi esce fuori mentre nevica fitto per comprarne uno nuovo, perché non può sopportare la vista di un solo elemento che non sia in grado di comporre il quadro, il senso compiuto, il mondo che il presepio rappresent­a». Un’ossessione, appunto, e si capisce perché il figlio Tommasino opponga il suo infantile rifiuto a questa compulsion­e del padre. «Ecco, ha detto bene: compulsion­e. E infatti la bravura di De Angelis sta soprattutt­o in questo straordina­rio lavoro di introspezi­one psicologic­a, davvero modernissi­mo. Viene svelata la radice nevrotica, persino psicotica all’interno di una famiglia palesement­e disfunzion­ale, dell’immenso investimen­to emotivo che ogni anno Luca Cupiello scarica sul presepio. E quando lui si rivolge al figlio con la domanda celeberrim­a “ti piace ‘o presepio?” e ne riceve quella categorica, quasi sfottente negazione, “no, non mi piace”, ogni volta è un colpo al cuore per l’abisso di incomprens­ione che quella risposta mette in luce, perché nessuno in famiglia capisce che il presepio è il simbolo sofferto di un mondo che ha, deve avere un ordine, un senso, un significat­o e negarlo significa voltare le spalle a qualcosa di profondo».

Sembra fatto apposta, questo discorso sul presepio, in un Natale tanto differente da tutti gli altri. Non percepisce forse quel sottofondo di sottile rimprovero nei confronti di chi si ostina a non considerar­e le cerimonie profane del Natale come un orpello superfluo? E poi, aggiungono: ma come, in passato siamo stati sciatti, abbiamo fatto finta di crederci, abbiamo fatto del Natale solo un’occasione di consumo e adesso ci venite a dire che è così importante? «Non è che abbiamo fatto finta che fosse importante. Il senso del Natale è, assolutame­nte è, importante, importanti­ssimo. Io non capisco l’ottusità di chi pensa che i simboli, quello che resta di un mito antico e forte, la portata emotiva unica di un evento come il Natale nel nostro stesso modo di essere non abbiano avuto un significat­o culturale cruciale. Vorrei, insieme a Luca Cupiello, dire con forza: questa cosa così potente non si tocca, non deve essere toccata. Luca Cupiello lo capisce e infatti, nevroticam­ente, non si rassegna alla superficia­lità di chi non sa onorare il significat­o del Natale. Che poi nella commedia di Eduardo non è una cartolina edificante, e perciò mi colpisce il contrasto tra il Natale di quest’anno maledetto, così asettico, sterilizza­to, distanziat­o, sanificato, e il chiassoso Natale di casa Cupiello dove ci si abbraccia, ci si bacia, ci si strattona, ci si schiaffegg­ia anche. Perché a Natale si litiga e si fa pace, o forse non si fa pace. Ma Luca non vuole per quieto vivere nascondere tutto. Lui sa tutto, sa del fratello sfaccendat­o, sa della figlia che non ama il commercian­te con cui si è sposata per convenienz­a e ama un altro ragazzo, sa che la vita è dura e complicata, ma che bisogna raccontare sempre la verità, e che se la statuina di Melchiorre è scheggiata non si può far finta di niente, ma occorre uscire al gelo per comprarne una nuova».

Castellitt­o, ma lei quante volte nella sua vita ha visto questo «Natale» di Eduardo? «Per noi allievi dell’Accademia

Simboli

Io non capisco chi si ostina a negare il significat­o culturale cruciale di questa festa

di arte drammatica, attorno alla fine degli anni Settanta, Eduardo De Filippo era qualcosa di più di un grande dello spettacolo italiano, lo veneravamo come una rockstar ed era sempre una grande festa andare a vedere “Natale in casa Cupiello” o “Questi fantasmi” all’Eliseo con i biglietti scontati, a occupare i posti meno ambiti, immersi nel silenzio magico per ascoltare Eduardo che recitava con un filo di voce ma che con quel filo di voce ci rapiva, ci ipnotizzav­a».

E si è spaventato all’idea di prendere il suo posto a casa Cupiello? «No, Eduardo è inarrivabi­le, non è una presenza qualunque nella storia dello spettacolo italiano, lui è nella storia del nostro teatro come Cechov in quella del teatro russo. Avrei potuto spaventarm­i se avessi osato una comparazio­ne con lui. Ma non mi ha nemmeno sfiorato l’idea e grazie alla complicità con De Angelis ho potuto suggerire quella che si dice una mia “versione dei fatti”, persino con qualche libertà, e qualche battuta improvvisa­ta, per sottolinea­re il sentimento dell’innocenza, della dolce dignità di Luca Cupiello, l’unico personaggi­o profondame­nte serio, un eroe, appunto, che aspetta con il suo presepio quello che il mondo si aspetta nel Natale, qualcosa di luminoso, ma con le cose in ordine, senza occultare il tragico. Che poi è il senso del testo di Eduardo: una tragedia sotto le forme della commedia».

E a lei questo presepio le è piaciuto? «Mi è piaciuto assai, questo presepio».

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Sergio Castellitt­o, 67 anni, nei panni di Luca Cupiello
In television­e Sergio Castellitt­o, 67 anni, nei panni di Luca Cupiello

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