«Costretti alla linea dura»
Il presidente dell’Iss Brusaferro al Corriere: «Situazione seria, i dati non mentono». Ecco il perché «della linea rigorosa».
«Se la situazione non fosse stata molto seria certo non avremmo mantenuto una linea così rigorosa. I dati non mentono». Come è nel suo stile, anche quando l’argomento richiederebbe toni forti ed espliciti Silvio Brusaferro mantiene la misura. Il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, componente del Comitato tecnico scientifico, ha davanti a sé pagine di numeri che poi vengono riassunti nel monitoraggio settimanale della cabina di regia. Scuote la testa. Cosa c’è scritto in quelle carte?
«Se non ci fossero state tante evidenze che indicano chiaramente un rischio di ripresa dell’epidemia non ci sarebbe
stata la necessità di insistere con queste restrizioni in un periodo tradizionalmente caro a tutti come il Natale».
In pratica, spiega Brusaferro, se il quadro generale non fosse stato così negativo non ci si sarebbe spinti a guastare le festività degli italiani. Quali dati rendono il senso del pericolo che corriamo?
«L’indice puntuale di trasmissione dei contagi, l’Rt, è cresciuto in una settimana da 0,77 a 0,87. Un segnale di rialzo indiscutibile, che non possiamo permetterci di sottovalutare. Poi ci sono i tassi di occupazione degli ospedali, superiori alla soglia anche se di poco: 33% delle terapie intensive, dove il valore di riferimento è 30%, 42% dell’area medica (40%). E i contagi anche negli ultimi giorni si sono mantenuti tra 15 e 20mila».
Il timore è che si ripeta quello che è accaduto dopo l’estate?
«Noi sappiamo che il virus può essere fermato solo in un modo, limitando i contatti senza distanziamento fra individui. Altrimenti lo favoriamo. Se gli rendiamo la vita facile in un contesto come il nostro, in cui i nuovi positivi ogni giorno sono diverse migliaia, la ripresa è scontata soprattutto in un periodo dove tradizionalmente è facile rompere le regole, anche sopra pensiero, tipo abbassare la mascherina e avvicinarsi l’uno all’altro».
Allora il sistema delle zone gialle, arancione e rosse applicato in questi mesi non è servito a nulla?
«L’indice di trasmissione si era abbassato in modo significativo ma ultimamente la decrescita ha rallentato e, per la prima volta in un mese e mezzo, l’Rt è lievemente risalito pur mantenendosi a livello nazionale sotto l’unità». Qual è l’obiettivo del lockdown natalizio?
«Per ammorbidire le misure di mitigazione e riuscire a contenere l’epidemia, attuando la strategia del tracciamento dei casi, bisognerebbe scendere sotto i 5-6 mila al giorno. Sarebbe il risultato ottimale, auspicato». Quindi?
«Fare in modo che il 7 gennaio si possa ripartire con maggiore sicurezza, per rientrare possibilmente in una fase di contenimento».
C’è la corsa ai test antigenici. Se negativi, le riunioni di famiglia sono sicure?
«Non sono un semaforo verde che ci esime dall’adottare le regole di distanziamento, uso della mascherina e igiene delle mani. Ci possono dare, con probabilità diverse in funzione della tipologia di test, una indicazione sulla presenza dell’infezione, non la certezza. Se però vogliamo rispettare le persone che incontriamo, soprattutto le più fragili, dobbiamo essere attenti e rigorosi nel seguire le raccomandazioni: non ci sono scorciatoie».
Consigli?
«Aprire le finestre per cambiare l’aria quanto più è possibile».
Le scuole riapriranno il 7 gennaio?
«Restano al primo posto. In questi mesi sono rimaste aperte in larga misura. I monitoraggi stanno evidenziando che al loro interno, quando sono bene organizzate, i rischi non sono superiori agli altri contesti. Scuola vuole dire però anche i momenti precedenti e successivi all’ingresso negli edifici e all’uscita, dove il pericolo di contagio deve essere contrastato. Sono stati creati tavoli di lavoro con prefetti e autorità locali per attuare la differenziazione degli orari dei mezzi di trasporto».
La scuola però ha sofferto molto.
«Era inevitabile che l’attività didattica, come tutto il sistema sociale, di fronte al picco epidemico avrebbe sofferto. Ci sono state fasi in cui l’epidemia ha raggiunto dimensioni notevoli, oltre 40mila contagi al giorno, non si poteva pensare che la scuola non ne risentisse».
Terza ondata?
«È improprio parlarne visto che siamo ancora nel pieno della seconda».
Dove nascono i nuovi contagi?
«Mobilità e aggregazioni sono gli elementi critici. Il virus si trasmette più facilmente in tutti gli ambiti della vita sociale, dove si tende a trascurare le regole». Il vaccino ci salverà?
«È un grande strumento che apre una prospettiva di fiducia. Fino a quando un’alta percentuale della popolazione non sarà immunizzata, però, dovremo continuare a fare molta attenzione. La sfida contro il Sars-CoV-2 si vincerà anche con costanza e perseveranza».