LA SVOLTA IN TRE FASI
Afine anno, per effetto del Covid, avremo perso l’11 per cento circa del nostro reddito. L’anno prossimo ci sarà un rimbalzo, ma la Banca d’Italia prevede che torneremo al livello prepandemia solo fra tre anni, alla fine del 2023. Solo allora dovremmo riprendere il nostro lento sentiero di crescita preCovid: pochi decimali di Pil in più all’anno.
Tradotto in numeri più comprensibili, questo significa, per il prossimo anno, un aumento di due punti del tasso di disoccupazione: dal 10 al 12 per cento. Significa più famiglie sotto la soglia della povertà e più diseguaglianza nella distribuzione del reddito. Purtroppo nei prossimi tre anni le code davanti alle mense dei poveri saranno sempre più fitte.
Nel 2020 molte famiglie hanno fatto ricorso ai loro risparmi, ma questi a un certo punto finiranno. Tante piccole imprese hanno fatto salti mortali per non chiudere, ma non resisteranno altri tre anni. In parte sono stati compensati dallo Stato facendo crescere il deficit dei conti pubblici da 30 a oltre 180 miliardi di euro, un aumento di cui si è fatta interamente carico la Banca centrale europea, acquistando quest’anno 225 miliardi di titoli pubblici italiani.
Contro di lui c’era «una valanga di prove». E la carcerazione preventiva era inevitabile, visto il suo «profilo delinquenziale non comune che lascia ritenere pressoché certa la reiterazione degli stessi reati per cui si procede». L’uomo che così veniva rappresentato, lasciando incredulo almeno chi, come me e tanti altri giornalisti politici e sindacali, lo conosce da una vita, si chiamava, e si chiama ancora, Ottaviano Del Turco. Socialista fin da ragazzino. Numero due della Cgil ai tempi di Luciano Lama. Senatore. Ministro della Repubblica. E, al momento dell’arresto, il 14 luglio 2008, presidente (di centro-sinistra) della Regione Abruzzo. Dodici anni dopo, Del Turco, malato di cancro e afflitto dall’Alzheimer, non riconosce più neanche i suoi cari. Non sono un medico, ma mi permetto lo stesso di pensare che tra il suo stato attuale e il suo calvario giudiziario qualche nesso ci sia. Anno dopo anno, sentenza dopo sentenza, la «valanga di prove» contro di lui si è quasi del tutto squagliata. Via l’associazione a delinquere, via la corruzione e il falso, via altri reati minori, resta alla fine solo una condanna della Cassazione a tre anni per induzione indiretta. Sul fatto che una legge possa avere una applicazione retroattiva ci sarebbe parecchio da discutere. Non c’è da discutere, invece, ma solo da restare allibiti di fronte alla decisione del Senato di togliere a Del Turco il vitalizio di cui, si fa per dire, gode. E da prendere atto con (moderata) soddisfazione della successiva decisione di prendersi un mese di tempo per stabilire se procedere o no. Quanto alle reazioni suscitate dal caso, colpiscono soprattutto i silenzi. In particolare quello della Cgil, evidentemente immemore della propria lunga storia, e del ruolo per nulla secondario che il socialista autonomista (non è una parolaccia) Del Turco vi ebbe. Specie quando si trattò, correva l’anno 1983, Craxi e Berlinguer duellavano all’ultimo sangue sulla scala mobile, di salvarne nonostante tutto l’unità.