La logistica e gli archivi digitali: gli ostacoli del piano per i vaccini
Tra sette giorni si comincia, con il rebus delle differenze regionali. Coinvolte anche l’Eni e le Poste
Tra sette giorni parte la più grande e — si spera — rapida campagna di somministrazione di farmaci che l’Italia abbia mai tentato. È una delle più vaste e complesse operazioni sanitarie della storia repubblicana, in un Paese esausto dopo quasi un anno di pandemia. Ci sono quasi sessanta milioni di persone da individuare, raggiungere e convincere a recarsi nei centri di somministrazione in ordine di età, di condizioni di salute e di esposizione professionale al rischio di contagio da Covid-19. Ci sono ancora da battere i pregiudizi di quel 41% di popolazione che, a un sondaggio dell’Università Cattolica in maggio scorso, si è detto poco propenso a farsi vaccinare. Comunque vada, ci saranno anche decine di milioni di persone da informare adeguatamente e in modo comprensibile, una per una, perché possano firmare un consenso all’inoculazione che andrà ordinatamente archiviato. Ci sarà poi un sistema informativo digitale nazionale — l’anagrafe vaccinale — da costruire da zero e far funzionare nel giro di pochi mesi: bisogna conoscere l’età e la storia sanitaria di ciascuno, oltre alla data in cui ha fatto o dovrebbe fare il vaccino. Ma soprattutto, resta da lanciare una delle più complesse missioni logistiche e amministrative su scala nazionale degli ultimi anni — una missione, letteralmente, vitale — con ventuno sistemi sanitari profondamente diversi nelle Regioni e nelle province autonome.
Può funzionare e le richieste di prenotazioni per la ondata iniziale di dicembre e gennaio — 1,8 milioni di individui fra personale degli ospedali o delle case di riposo e ospiti di queste ultime — segnala un’adesione elevata: circa l’80% degli aventi diritto, contro una media di meno di due terzi quando si offre un vaccino. Ma questo è solo l’inizio. Ben poco nella performance di uno dei Paesi al mondo con più morti per Covid-19 in rapporto agli abitanti, permette di essere certi che tutto andrà liscio. La posta non è solo la salute degli italiani, ma la tenuta territoriale della nazione: se le regioni del Nord realizzassero le vaccinazioni nei tempi previsti, ma alcune aree del Sud no, l’economia ripartirebbe solo nelle prime e il divario con le seconde diventerebbe colossale.
Questo rischio era nell’aria venerdì quando Luca Zaia ha preso la parola in una seduta della Conferenza Stato-Regioni convocata per preparare l’intero processo, dopo l’accelerazione europea degli ultimi giorni. Il presidente leghista del Veneto ha rivendicato che l’anagrafe vaccinale digitale della sua Regione è già molto completa ed efficiente, ben più di una versione nazionale che partirebbe da zero. Anche Alessio D’Amato, l’assessore alla Sanità del Lazio (Pd) ha ricordato che la sua amministrazione ha già una piattaforma del genere. Alcune Regioni del Sud ce l’hanno incompleta o cartacea, dunque di fatto impossibile da consultare.
Nelle ultime ore sembra emergere un compromesso proposto dalla struttura commissariale creata presso la Protezione Civile: con il sostegno (pro-bono) dei sistemi informatici dell’Eni, dovrebbe essere possibile creare una piattaforma centrale unica, ma aperta all’integrazione dei sottosistemi delle Regioni più attrezzate. Ma dietro le parole di Zaia resta una questione più complessa: la vaccinazione da Covid-19 è nazionale, con tanto di marchio unico con la primula voluta dal commissario straordinario Domenico Arcuri, in un Paese in cui la sanità è competenza delle Regioni. La formazione del personale medico tocca allo Stato, con la didattica a distanza ad opera dell’Istituto superiore di sanità pronta a partire dai prossimi giorni. Ma saranno le Regioni a mettere al lavoro medici e infermieri. La consegna dei vaccini nei centri di somministrazione è responsabilità centrale (ancora una volta, della struttura commissariale), ma le convocazioni dei residenti, la firma dei consensi, le iniezioni e le verifiche spettano alle Regioni.
Il ministero della Salute ha pubblicato giorni fa un «Piano strategico» chiaro sugli obiettivi — 50% di vaccinati a fine settembre 2021, 90% a fine anno — e vaghissimo sulle modalità. Non è chiaro come sarebbe strutturata la catena di comando di questa gigantesca operazione, nel momento in cui una Regione dovesse accumulare ritardo. La squadra di Arcuri ha negoziato con Poste Italiane l’attivazione di un call centre al quale i cittadini possano telefonare da aree in cui le amministrazioni non riescono a inviare le «convocazioni attive» (gli inviti in ambulatorio per il vaccino). Ma la struttura di un commissario non può supplire all’assenza di responsabilità politica e capacità di gestione — locale e centrale — dove non c’è. Al massimo, può fare da schermo.