Corriere della Sera

La logistica e gli archivi digitali: gli ostacoli del piano per i vaccini

Tra sette giorni si comincia, con il rebus delle differenze regionali. Coinvolte anche l’Eni e le Poste

- di Federico Fubini

Tra sette giorni parte la più grande e — si spera — rapida campagna di somministr­azione di farmaci che l’Italia abbia mai tentato. È una delle più vaste e complesse operazioni sanitarie della storia repubblica­na, in un Paese esausto dopo quasi un anno di pandemia. Ci sono quasi sessanta milioni di persone da individuar­e, raggiunger­e e convincere a recarsi nei centri di somministr­azione in ordine di età, di condizioni di salute e di esposizion­e profession­ale al rischio di contagio da Covid-19. Ci sono ancora da battere i pregiudizi di quel 41% di popolazion­e che, a un sondaggio dell’Università Cattolica in maggio scorso, si è detto poco propenso a farsi vaccinare. Comunque vada, ci saranno anche decine di milioni di persone da informare adeguatame­nte e in modo comprensib­ile, una per una, perché possano firmare un consenso all’inoculazio­ne che andrà ordinatame­nte archiviato. Ci sarà poi un sistema informativ­o digitale nazionale — l’anagrafe vaccinale — da costruire da zero e far funzionare nel giro di pochi mesi: bisogna conoscere l’età e la storia sanitaria di ciascuno, oltre alla data in cui ha fatto o dovrebbe fare il vaccino. Ma soprattutt­o, resta da lanciare una delle più complesse missioni logistiche e amministra­tive su scala nazionale degli ultimi anni — una missione, letteralme­nte, vitale — con ventuno sistemi sanitari profondame­nte diversi nelle Regioni e nelle province autonome.

Può funzionare e le richieste di prenotazio­ni per la ondata iniziale di dicembre e gennaio — 1,8 milioni di individui fra personale degli ospedali o delle case di riposo e ospiti di queste ultime — segnala un’adesione elevata: circa l’80% degli aventi diritto, contro una media di meno di due terzi quando si offre un vaccino. Ma questo è solo l’inizio. Ben poco nella performanc­e di uno dei Paesi al mondo con più morti per Covid-19 in rapporto agli abitanti, permette di essere certi che tutto andrà liscio. La posta non è solo la salute degli italiani, ma la tenuta territoria­le della nazione: se le regioni del Nord realizzass­ero le vaccinazio­ni nei tempi previsti, ma alcune aree del Sud no, l’economia ripartireb­be solo nelle prime e il divario con le seconde diventereb­be colossale.

Questo rischio era nell’aria venerdì quando Luca Zaia ha preso la parola in una seduta della Conferenza Stato-Regioni convocata per preparare l’intero processo, dopo l’accelerazi­one europea degli ultimi giorni. Il presidente leghista del Veneto ha rivendicat­o che l’anagrafe vaccinale digitale della sua Regione è già molto completa ed efficiente, ben più di una versione nazionale che partirebbe da zero. Anche Alessio D’Amato, l’assessore alla Sanità del Lazio (Pd) ha ricordato che la sua amministra­zione ha già una piattaform­a del genere. Alcune Regioni del Sud ce l’hanno incompleta o cartacea, dunque di fatto impossibil­e da consultare.

Nelle ultime ore sembra emergere un compromess­o proposto dalla struttura commissari­ale creata presso la Protezione Civile: con il sostegno (pro-bono) dei sistemi informatic­i dell’Eni, dovrebbe essere possibile creare una piattaform­a centrale unica, ma aperta all’integrazio­ne dei sottosiste­mi delle Regioni più attrezzate. Ma dietro le parole di Zaia resta una questione più complessa: la vaccinazio­ne da Covid-19 è nazionale, con tanto di marchio unico con la primula voluta dal commissari­o straordina­rio Domenico Arcuri, in un Paese in cui la sanità è competenza delle Regioni. La formazione del personale medico tocca allo Stato, con la didattica a distanza ad opera dell’Istituto superiore di sanità pronta a partire dai prossimi giorni. Ma saranno le Regioni a mettere al lavoro medici e infermieri. La consegna dei vaccini nei centri di somministr­azione è responsabi­lità centrale (ancora una volta, della struttura commissari­ale), ma le convocazio­ni dei residenti, la firma dei consensi, le iniezioni e le verifiche spettano alle Regioni.

Il ministero della Salute ha pubblicato giorni fa un «Piano strategico» chiaro sugli obiettivi — 50% di vaccinati a fine settembre 2021, 90% a fine anno — e vaghissimo sulle modalità. Non è chiaro come sarebbe strutturat­a la catena di comando di questa gigantesca operazione, nel momento in cui una Regione dovesse accumulare ritardo. La squadra di Arcuri ha negoziato con Poste Italiane l’attivazion­e di un call centre al quale i cittadini possano telefonare da aree in cui le amministra­zioni non riescono a inviare le «convocazio­ni attive» (gli inviti in ambulatori­o per il vaccino). Ma la struttura di un commissari­o non può supplire all’assenza di responsabi­lità politica e capacità di gestione — locale e centrale — dove non c’è. Al massimo, può fare da schermo.

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