Corriere della Sera

Cesarismo e task force, i timori di studiosi e giuristi

L’analisi della Fondazione Leonardo. Pajno: forte esposizion­e di premier e presidenti di Regione

- di Dario Di Vico

Realizzare la più ampia indagine interdisci­plinare sulle trasformaz­ioni che il virus ha causato nel funzioname­nto delle istituzion­i, nell’esercizio delle libertà, nelle cure mediche, nell’uso della Rete. È questo il compito che si è prefissa Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine presieduta da Luciano Violante di cui anticipiam­o i primi risultati. Una ricerca, in corso di pubblicazi­one con il Mulino, alla quale hanno collaborat­o 60 studiosi. «L’indagine contiene importanti apporti di medici e di tecnologi, mi soffermo qui solo sui profili di carattere costituzio­nale: la pandemia si è rivelata uno stress test per la democrazia in tutti i Paesi. La risposta data dall’Italia ha conseguito risultati positivi ma ha generato anche interrogat­ivi giuridici e politici che vanno affrontati», spiega il coordinato­re della ricerca, Alessandro Pajno, presidente emerito del Consiglio di Stato. Cominciamo dalla Protezione civile: ha assunto centralità anche nella pandemia perché l’unica capace di procedure rapide di intervento, tuttavia i suoi strumenti non sono apparsi adeguati, di fronte alla necessità di limitare alcune libertà fondamenta­li. «Si è quindi proceduto faticosame­nte, e non senza errori, ad affiancare ai vecchi standard un nuovo regime di governo della pandemia, fondato sulla centralità del presidente del Consiglio». Ma come si è coordinato il nuovo con il ruolo «storico» della Protezione civile e con le norme del Servizio sanitario nazionale, nel quale hanno un rilevante peso il ministro della Salute, i presidenti di Regione e i sindaci? «Si sono creati dei problemi per la presenza di troppi soggetti in campo, non ultimo il comguarda

A livello regionale e locale pesa la «proliferaz­ione» degli organismi tecnici

missario», sostiene Pajno.

Il secondo punto riguarda la decretazio­ne d’urgenza. Per il giurista, il primo decreto legge presentava profili dubbi sul piano costituzio­nale perché mancava un elenco preciso dei casi di limitazion­e delle libertà personali, con la conseguenz­a di una sorta di autorizzaz­ione in bianco all’adozione di ulteriori misure di contenimen­to. Il governo è saggiament­e intervenut­o con un secondo decreto che ha «categorizz­ato» e delimitato le restrizion­i. Ma il punto chiave dell’analisi di Pajno riil rapporto politica/ amministra­zione e centro/ periferia: la necessità di dare risposte immediate ha portato a una moltiplica­zione degli organismi tecnici che hanno affiancato il Comitato tecnico scientific­o e il commissari­o straordina­rio. Per non parlare delle numerose task force. «Alla proliferaz­ione degli organismi tecnici si è aggiunta una forte esposizion­e del presidente del Consiglio e dei presidenti delle Regioni. Tutti i vertici sono stati indotti a presentars­i come tutori della salute nel proprio ambito territoria­le. Sono così emersi rischi di una sorta di cesarismo mediatico», annota Pajno. I sistemi regionali si sono spesso presentati ai propri elettori come antagonist­i rispetto al centro. «Si è mostrato plasticame­nte un difetto congenito

«Utili se limitati, altrimenti producono un’esondazion­e normativa»

del nostro federalism­o portato a enfatizzar­e il peso dei cosiddetti governator­i, eletti a suffragio diretto ma non sempre disponibil­i a varare misure di contenimen­to». La diversità politica dei vari livelli di governo si è poi proiettata sulle proposte e sulle misure, diventate occasioni per sostenere visioni politiche differenti. Nel mirino delle analisi della Fondazione Leonardo è entrato anche lo strumento dei Dpcm. «Utili se limitati, altrimenti finiscono per produrre un’esondazion­e normativa», commenta Pajno. Tra i saggi che comporrann­o l’indagine merita segnalazio­ne quello del professor Simone Penasa sul Cts. Secondo il giurista dovrebbe avere — come in Francia — una legittimaz­ione legislativ­a per assicurare «alla relazione tra scienza e decisione maggiore trasparenz­a».

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