«È stata fatta giustizia Nessuna imprudenza delle nostre bambine»
Il dolore e la commozione delle mamme
Abbracciate in aula in un pianto liberatorio, unite nel rimarcare il dato che più sta a cuore a entrambe: le loro figlie (cha a volte chiamano ancora bambine), Gaia e Camilla, non erano due incoscienti che hanno attraversato la strada tra le auto in corsa, incuranti della lontananza delle strisce e del rosso sul semaforo pedonale.
All’esterno del carcere di Rebibbia, nella cui aula bunker si è svolta l’ultima udienza del processo, Gabriella Saracino, mamma di Gaia von Freymann, sembra finalmente sciogliersi nonostante la serata fredda e l’umidità della campagna circostante. E rompe con un pianto il silenzio che ha tenuto dentro in questi mesi: «Sono molto contenta della sentenza ma sinceramente dispiaciuta per Genovese, un ragazzo anche lui», dice. Poi, abbracciando i suoi avvocati («bravissimi, hanno fatto un lavoro enorme») e le persone che l’hanno accompagnata anche stavolta, si alleggerisce del macigno più grande: «Mia figlia e Camilla non hanno colpe per quello che è successo. È la cosa più importante per me sapere che non hanno commesso imprudenze. È un grande dolore, nessuno ci restituirà più le nostre bambine ma oggi possiamo rendere giustizia alla loro memoria».
Tante volte, nel corso del processo, questa donna è uscita dall’aula per non ascoltare perizie e testimonianze che le facevano rivivere quel dolore, tormentandosi le mani in lunghe camminate con gli occhi lucidi su e giù nei corridoi del tribunale.
Il 21 dicembre di un anno fa era un sabato e sul calendario scolastico era già Natale. Il Covid-19 non era ancora un argomento e Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli, come tutti i ragazzi della loro età, avevano di fronte due settimane di feste, uscite, divertimenti senza pensieri. Quella sera tornavano a casa all’orario concordato, mezzanotte. Si ipotizzò che corressero per non fare tardi, che non avessero aspettato di arrivare alle strisce perché pioveva, che fossero state insomma «distratte», mentre si tenevano per mano. Un anno quasi esatto dopo, il giudice ha stabilito che la loro morte non fu causata da una sciagurata leggerezza, non da parte loro.
«Giustizia è fatta — dice Cristina Maggi, la mamma di Camilla —. Sono molto contenta che sia emerso davvero chi erano le nostre figlie. Due ragazze attente e giudiziose che non hanno commesso nessuna imprudenza». E ancora: «Bisogna credere nella giustizia, voglio dirlo con forza stasera. Aver restituito a tutti la loro immagine di due ragazze non di scellerate come si è provato a dipingerle ci alleggerisce in parte dal peso di questa vicenda, ma io da mamma non avevo dubbi e anche al processo l’abbiamo sempre sostenuto». La coincidenza della sentenza arrivata nei giorni dell’anniversario dalla loro morte passa quasi inosservata: «Fra poco è Natale, come un anno fa. E se vuole saperlo, nemmeno ci stiamo pensando».
Le due mamme, che quella notte si ritrovarono incredule in strada davanti alle figlie
La loro immagine Non erano due giovani scellerate come si è provato a dipingerle. Da madre non avevo dubbi
La mamma di Gaia Sono contenta e anche sinceramente dispiaciuta per Pietro Genovese, un ragazzo anche lui
morte, richiamate da un presentimento, da quei telefoni diventati muti e guidate sul posto dalle urla in lontananza, erano state compatte anche nel respingere le scuse fatte in aula dall’imputato, perché ritenute «di facciata». La mamma di Camilla si disse «profondamente delusa, sembrava che stesse recitando».
In aula ieri c’era anche il padre di Gaia, Edward, che per tutta la durata dell’udienza ha tenuto stretta tra le mani una foto di sua figlia. Poi, quando la campana ha annunciato la lettura della sentenza non ha retto all’emozione e ha preferito uscire.