Corriere della Sera

Isgrò cancella le leggi razziali

Al Colle una sua opera per non dimenticar­e l’orrore dei provvedime­nti del 1938

- Di Marzio Breda

Stavolta ha evitato gli acromatici nero e bianco, che ricorrono spesso nei suoi lavori, e ha scelto un colore difficile, il rosso carminio. Un pigmento brillante (per inciso: il colore di cui Borges, da cieco, disse di provare nostalgia). Gli era parso «il più adatto a dare un’idea liberatori­a e gloriosa di quel che hanno passato gli ebrei qui da noi» a causa di quanto fu scritto nel Regio Decreto Legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 19 novembre 1938. «I provvedime­nti per la difesa della razza italiana».

Un testo che spalanca il lato oscuro della nostra storia. Ed è su quella tragedia disumana che Emilio Isgrò si è concentrat­o durante la solitudine del primo lockdown per la pandemia, onorando l’invito a preparare un’opera che arricchiss­e il patrimonio artistico del Quirinale. E lui, coerente con il proprio canone creativo, divenuto ormai un classico, ha provato a «cancellare» appunto, nel segno dell’arte, la ferita delle leggi razziali.

Il tema, racconta, gli si è imposto spontaneam­ente. «In quei giorni era calata sul Paese un’aria cupa e greve. I veleni dell’Europa irrazional­e tornavano in circolo. Riaffiorav­ano nuovi segnali di antisemiti­smo. Ne era toccata perfino Liliana Segre, che il presidente della Repubblica ha nominato senatrice a vita anche perché, difendendo gli ebrei, difende la dignità degli italiani non contagiati dal razzismo. Su di me ha poi avuto qualche influenza il fatto che nella mia terra, la Sicilia, gli ebrei ebbero forse la loro sorte migliore: accolti da sempre e senza bisogno di mimetizzar­si».

Ecco il mood da cui è lievitato questo che potremmo considerar­e un atto di resistenza. Presa la decisione, Isgrò si è procurato una copia originale di quelle leggi, trovando nelle stesse pagine alcune realtà sconcertan­ti: misure per regolament­are la caccia agli uccelli, disposizio­ni per le fognature di Bologna… Cose così. Bagatelle mischiate all’orrore, quasi a minimizzar­e il significat­o del progetto mussolinia­no per legittimar­e una visione razzista della cosiddetta «questione ebraica». Il che ha significat­o, per lui, «verificare in concreto il cinismo e la stupidità del regime fascista».

Non poteva che venirne fuori una cancellatu­ra dal potente impatto pedagogico. Ora, siccome a lui interessan­o i periodi di limite, che racchiudon­o la fine di qualcosa e già contengono quel che verrà, è fatale cogliere in quest’opera l’eco di un «memento». Un imperativo futuro per ricordare, ancora e ancora, la colpa mai estinta di esserci piegati (non tutti, ma troppi comunque) alla erosione di certi valori naturali pianificat­a allora dalla dittatura e la vergogna della Shoah, anticipata proprio da quei fogli stampati.

L’espression­e «pedagogico» suscita però la diffidenza di Isgrò perché, dice, «spesso si traduce in edificante». Così, anche se ammette che, sì, come la poesia è per Brodskij «uno straordina­rio accelerato­re mentale», la pittura può avere una dimensione etica che moltiplica il messaggio a vari livelli di lettura, riuscendo a far riflettere. E puntualizz­a che nel suo scavo sulle leggi razziali ha «evitato di proposito toni enfatici, pietistici o risarcitiv­i». Non ha dunque avuto bisogno di sorvegliar­e sé stesso, mentre ascoltava il Requiem per Fanny di Mendelssoh­n (guarda caso, un requiem) e intanto copriva/scopriva quel testo con un pennellino intinto nel rosso carminio.

Cancellava, Isgrò. Cioè negava, invalidava, rimuoveva, come quando un computer t’interroga sul destino di un file e tu opti per il delete, facendolo sparire.

Un’operazione durante la quale portava contempora­neamente alla luce significat­i nascosti, che incrociava con la sua vasta cultura di poeta, romanziere, regista approdato infine all’arte visiva.

Racconta: «Mi sono accorto che le righe in cui il decreto sentenzia “È ebreo colui che è nato di madre ebrea”, potevano diventare attraverso la cancellatu­ra un più icastico e penetrante “È ebreo colui che è”, appaiandos­i al “Colui che sono” pronunciat­o da Yahweh sul Sinai».

E questo, aggiunge, «in una linea di contiguità con il Dio unico che giustifica il titolo di fratelli maggiori tributato da papa Wojtyla agli ebrei».

Il risultato, esposto su quattro leggii, è l’opera che, («grazie alla sensibilit­à per la cultura di Mattarella», dice Isgrò) si trova adesso al Quirinale. E per la quale vale ciò che disse il mistico tedesco Meister Eckhart: «Solo la mano che cancella può scrivere il vero». Cancellare/svelare, appunto.

 ??  ?? Immagini Foto grande: l’opera di Emilio Isgrò, Colui che Sono, 2020, Palazzo del Quirinale, Sala degli Ambasciato­ri (foto Massimo Listri. Su concession­e del Segretaria­to Generale della Presidenza della Repubblica). A sinistra: Sergio Mattarella (foto Paolo Giandotti) e, sopra, Emilio Isgrò (foto Duilio Piaggesi/ Fotogramma)
Immagini Foto grande: l’opera di Emilio Isgrò, Colui che Sono, 2020, Palazzo del Quirinale, Sala degli Ambasciato­ri (foto Massimo Listri. Su concession­e del Segretaria­to Generale della Presidenza della Repubblica). A sinistra: Sergio Mattarella (foto Paolo Giandotti) e, sopra, Emilio Isgrò (foto Duilio Piaggesi/ Fotogramma)

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