Corriere della Sera

Shoah, addio a Nedo Fiano La memoria come resistenza

- di Alessia Rastelli

«A18 anni, ad Auschwitz, sono rimasto orfano. Quest’esperienza devastante ha fatto di me un uomo diverso, un testimone per tutta la vita».

Lo è stato, Nedo Fiano, un testimone lungo il corso di un’intera esistenza, interrotta­si ieri pomeriggio a Milano, nella casa di cura dove era ricoverato con la moglie Rina Lattes. Nato a Firenze il 22 aprile 1925, aveva 95 anni, di cui tantissimi spesi tra gli studenti a rivivere l’orrore, senza che mai lo abbandonas­se il ricordo della madre Nella sulla rampa del lager, i suoi grandi occhi verdi pieni di paura, mentre la separavano da lui e dal marito, mandandola subito alla camera a gas.

Sarebbe tornato da solo Nedo. Ad Auschwitz lavorò schiavo proprio su quella banchina, dove arrivò con la famiglia il 23 maggio 1944. Sul braccio gli fu tatuato il suo numero: A-5405. Non era più un essere umano ma uno

Stück, un pezzo. Sarebbe stato liberato l’11 aprile 1945 a Buchenwald, dove lo avevano trasferito i nazisti in fuga nell’ultima fase della guerra. Per un periodo, raccontò al ritorno, fu anche costretto a lavorare accanto al medico assassino Josef Mengele. «Avvicinava i bambini, i gemelli in particolar­e, con cioccolati­ni e caramelle. Poi li torturava con i suoi esperiment­i. Fu terribile», testimoniò.

Nedo Fiano era una delle ultime voci ancora in vita della Shoah. Parlò instancabi­le in tantissime scuole. E, come altri superstiti, disse che la salvezza arrivò per caso. Perché conosceva il tedesco, che gli aveva insegnato il nonno. E, poi, perché sapeva cantare. Fu costretto a farlo davanti ai suoi aguzzini: doveva intonare, ricordava, brani noti come ’O sole mio durante le loro cene. Ma questo gli consentì di potere avere almeno un po’ più di cibo, decisivo quando si è ridotti a scheletri.

A dare la notizia della morte è il terzogenit­o Emanuele Fiano, deputato del Partito democratic­o, che proprio di recente aveva finito di scrivere Il profumo di mio padre. L’eredità di un figlio della Shoah (Piemme, da gennaio). «È stato insieme bello e difficile — confessa — avere un padre sopravviss­uto ad Auschwitz. Lo diceva lui stesso: non era mai uscito davvero da lì». Eppure la vita «gli ha riservato una fine strana — prosegue il figlio —: negli ultimissim­i anni mio padre aveva subito un deterioram­ento cognitivo, una perdita delle capacità di ricordare. Proprio lui che aveva speso l’intera vita per la memoria, a cercare di fare capire quello che era stato. Invece, di recente, era come se non sapesse più nulla di Auschwitz, né di sé stesso. Forse, dopo che per oltre settant’anni un dolore indicibile si è perpetuato dentro di lui, questa fase estrema è stata una benedizion­e». Su Facebook, dove pochi giorni fa aveva annotato il dolore per non poterlo vedere, a causa delle norme anti Covid, Emanuele Fiano ricorda anche l’ottimismo, la voglia di vivere del padre: «Non avrò mai la sua forza, ma da lui ho imparato che per le battaglie di vita e contro ogni odio bisogna combattere sempre».

«La perdita di Nedo è come una lutto in famiglia», dice Liliana Segre, senatrice a vita, anche lei superstite della Shoah. «Siamo stati Stücke — prosegue —, pezzi di uno stesso mosaico orribile. Siamo tornati in pochi e quello che potevamo confessarc­i è impossibil­e da dire a qualcun altro». Entrambi però, aggiunge la senatrice, «siamo stati salvati dall’amore: io, dopo il ritorno, dall’incontro con mio marito Alfredo, lui da quello con Rina, Rirì, da cui ha avuto tre figli bravissimi, affettuosi». Li ricorda anche Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane: «Nedo tornò con la disperazio­ne negli occhi. Ma anche la voglia di costruire e ricostruir­e insieme all’amata Rina, la compagna di scuola ritrovata, e insieme alla quale avrebbe messo al mondo Enzo, Andrea ed Emanuele».

Trovò la forza di andare avanti forse anche per sua madre, Nedo. Per lei, disse, per mantenere una promessa che le aveva fatto, a 43 anni si era laureato alla Bocconi.

Il ricordo Il figlio Emanuele: «Non uscì mai dal Lager». Liliana Segre: «È come un lutto di famiglia»

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Nedo Fiano era nato a Firenze il 22 aprile 1925. Deportato ad Auschwitz: fu l’unico sopravviss­uto della sua famiglia

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