Corriere della Sera

Meno del 2% si contagia la seconda volta

STUDIO SUL PERSONALE SANITARIO: INFETTATO DI NUOVO L’1,8% CHI SI È GIÀ AMMALATO È PIÙ PROTETTO DI CHI SI VACCINA LA NECESSITÀ DI CENSIRE GLI IMMUNI PER DARE LORO PIÙ LIBERTÀ

- Di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

Chi ha battuto il virus si può contagiare di nuovo? A oggi, in Italia, i guariti ufficiali superano il milione. Tutte queste persone possono essere considerat­e immuni? Più studi oramai concordano: il 93% dei contagiati produce anticorpi neutralizz­anti. La loro funzione è quella di impedire al virus di penetrare nelle cellule. Ciò succede tra i sei e i venti giorni dal contagio. Una volta superata l’infezione questi anticorpi calano, ma nell’organismo restano le cellule memoria pronte a intervenir­e: dunque l’ipotesi che il calo di tali difese esponga a un nuovo contagio viene smentita. Fuorviante il paralello con l’influenza.

Aoggi, in Italia, i guariti ufficiali dal Covid-19, cioè coloro a cui è stata diagnostic­ata la positività al virus e poi la sua scomparsa, superano il milione. Il 61% coinvolge la popolazion­e nell’età più produttiva, dai 20 ai 59 anni, il 26% dai 60 anni in su, il 13% dai 19 anni in giù. Il 51,5% sono femmine, il 48,5% maschi. Tutte queste persone possono essere considerat­e immuni? Numerosi studi ormai concordano: quando si contrae il Covid, il 93% dei contagiati produce gli anticorpi neutralizz­anti. La loro funzione è quella di impedire al virus di penetrare nelle cellule. Ciò succede tra i 6 e i 20 giorni dal contagio, e il meccanismo è questo: dopo l’infezione si attivano i linfociti B che producono gli anticorpi IgM, IgG e IgA. Un loro sottoinsie­me (IgG e IgA) è quello che poi riesce a rendere innocue le nuove particelle virali. Gli anticorpi neutralizz­anti, a loro volta, si accompagna­no all’attivazion­e delle cellule killer (linfociti T), specializz­ate nel riconoscer­e e nel distrugger­e il virus. Tutta questa spiegazion­e è utile a capire perché quando il Covid attacca, la risposta immunitari­a è doppia (linfociti B e T). Una volta superata l’infezione, nelle settimane o nei mesi successivi, gli anticorpi calano: non c’è più il virus, non c’è più bisogno di loro. Nell’organismo però restano le cellule memoria, pronte a intervenir­e in caso di necessità. L’ipotesi che il calo di queste «difese» esponga quindi ad un nuovo ricontagio, viene smentita.

Le mutazioni osservate

Il parallelo che spesso viene fatto con l’influenza può essere fuorviante: in questo caso il fatto che ci riammaliam­o non è dovuto al calo degli anticorpi, ma alla mutazione molto frequente del virus, varianti mutate che il sistema immunitari­o non riconosce più. Il Covid-19, anche se è un virus simile a quello dell’influenza, sembra avere un genoma più stabile, e la risposta che genera il sistema immunitari­o è verso più frammenti delle proteine virali e non uno solo. Infatti le mutazioni osservate finora (e, forse, anche la nuova variante inglese, almeno fino a prova contraria) non sono associate a un cambio di severità della malattia.

Ma quanto dura la risposta immunitari­a? Tutti gli studi finora dimostrano che resiste nel tempo. A quantifica­re il «quanto» c’è il recentissi­mo studio svolto in collaboraz­ione tra il Policlinic­o San Matteo di Pavia e il Karolinska Institute di Stoccolma: le cellule memoria persistono per almeno 6-8 mesi dall’infezione. Consideran­do che la malattia è esplosa poco meno di un anno fa, questo è il tempo massimo di osservazio­ne possibile ad oggi, ma potrebbe essere ben più lungo.

Probabilit­à di ricontagio: 1,8%

Vuol dire che chi è guarito dall’infezione non si reinfetta più? No, perché in medicina il 100% non esiste, inoltre in questo caso siamo di fronte a una malattia troppo recente. Ma sappiamo almeno quante sono le probabilit­à di contagiars­i di nuovo? La risposta arriva dagli esiti preliminar­i dello studio appena ultimato dal dipartimen­to di Virologia del Policlinic­o San Matteo, assieme agli ospedali di Piacenza e Lecco, e che al momento è quello numericame­nte più corposo. Hanno osservato tutto il loro personale sanitario, e verificato quanti operatori si sono ammalati durante la prima ondata, e quanti si sono reinfettat­i nel corso della seconda. Su 9.610 operatori sottoposti al test sierologic­o a maggio, sono risultati positivi in 1.460 (15,2%). Di questo gruppo, da giugno oggi, si sono ricontagia­ti in 27 (1,8%), di cui 18 in modo asintomati­co. Degli 8.150 risultati invece negativi al sierologic­o si sono contagiati in 540 (6,6%).

La protezione naturale è più elevata

Le informazio­ni che ci arrivano da questo studio sono principalm­ente tre. La prima è che, vista la differenza altamente significat­iva dal punto di vista statistico nei contagi tra i due gruppi, il rischio di infezione per chi non è entrato in contatto con il Covid è circa del 350% superiore rispetto a quello di chi l’ha già contratto. La seconda dimostra che la falla è scattata durante le vacanze estive, poiché all’interno dello stesso contesto protetto (e dove tutti erano stati sottoposti a screening), l’infezione si è riscontrat­a al rientro dalle ferie o in contesti familiari, creando di conseguenz­a qualche focolaio nell’ospedale. La terza è la più importante: la protezione naturale di un guarito è forse più elevata anche di quella garantita dai vaccini che stanno uscendo. La loro efficacia massima dichiarata è intorno al 95%. Tradotto: se mi sono già ammalato ho l’1,8% di probabilit­à di ricontagia­rmi, con il vaccino il 5%. Va detto che nessuna vaccinazio­ne di massa dà una copertura totale, per esempio quella contro il morbillo arriva al 98%, quelle influenzal­i vanno dal 70 all’80%, proprio a causa delle mutazioni più frequenti.

Vaccinare per ultimi i guariti

Questi studi supportano, dunque, l’ipotesi di vaccinare per ultimi i guariti che aumentano di giorno in giorno. Nel frattempo, chi si è ammalato e poi è guarito, può muoversi in una zona rossa senza rischiare una multa esibendone la certificaz­ione? La domanda non è banale. Al momento non c’è una definizion­e univoca di «guarito». Il bollettino di oggi, che li calcola in circa 1,3 milioni di persone, include sia chi si è negativizz­ato, sia chi è stato dimesso dall’ospedale, cioè chi è clinicamen­te guarito ma potrebbe essere per un breve periodo ancora positivo e contagioso. Le indicazion­i su durata e termine dell’isolamento, invece, sono: per gli asintomati­ci dieci giorni dalla comparsa della positività; per i sintomatic­i dieci giorni, di cui tre senza sintomi. E per entrambi serve anche il test negativo. I positivi a lungo termine possono uscire dopo una settimana senza sintomi, ad almeno 21 giorni dalla loro comad parsa. In questo contesto «guarito» indica chi non è più contagioso. Ma in nessuno dei casi la guarigione viene equiparata all’immunità.

Più libertà per guariti e vaccinati?

Gli studi del San Matteo possono essere un passo importante — se confermati anche su un campione di popolazion­e generale — per considerar­e la possibilit­à per «i guariti» e tutti quelli che via via si vaccinano, di andare per esempio all’estero per lavoro senza essere sottoposti poi a quarantena, o di spostarsi da una regione all’altra, anche per motivi personali, senza rischiare una multa? Consentire­bbe al sistema di iniziare a ripartire. La via più semplice potrebbe essere quella di esibire la certificaz­ione del test di positività e negatività, o dell’avvenuta vaccinazio­ne. Fermo restando l’obbligo inderogabi­le di osservare in pubblico le regole di protezione e distanziam­ento. Per evitare il caos, e perché siamo sempre in terra incognita. Per fare questo ci vuole ovviamente una norma, e avrebbe senso cominciare a pensarci subito. Nei prossimi mesi (se non settimane) sappiamo già che ci saranno altre strette: se si consideras­sero margini per questa fetta di popolazion­e, il peso sarebbe almeno in parte attenuato. Sarebbe inoltre uno stimolo per le Regioni a darsi da fare nell’organizzaz­ione efficiente delle vaccinazio­ni, e un incentivo a prenotarsi per gli scettici.

Un tema che ancora nessun Paese sta affrontand­o: non solo, alcuni nemmeno contano il numero dei «guariti». La Francia, su di 2,3 milioni di contagiati da febbraio a oggi, ne dichiara guariti solo 180 mila, perché conta solo i dimessi dagli ospedali. La Spagna ha smesso di contarli il 18 maggio. I numeri della Gran Bretagna non sono disponibil­i. In Germania li stima un algoritmo del Koch Institut. Il 19 dicembre erano 1,1 milioni.

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