Corriere della Sera

Caro Babbo Natale

- di Alessandro D'Avenia

Caro Babbo Natale, ti scrivo per chiederti scusa. Da bambino non ho mai creduto nella tua esistenza perché ho sempre saputo che i regali li portavano papà e mamma. Oggi però voglio recuperare il tempo perduto: a 43 anni ho scoperto che esisti. Meglio tardi che mai. Non parlo di fughe consumisti­che della fantasia (per quello c’è Amazon) ma di vitale immaginazi­one, quella facoltà che ci consente di non accontenta­rci della realtà così com’è, quella fonte da cui sgorga il possibile e quindi l’arte del racconto. E anche tu. Perché dovrei credere di più all’esistenza di Ulisse, Romeo e Anna Karenina e meno alla tua? I personaggi delle grandi storie sono ipotesi narrative con le quali facciamo parlare la realtà quando sembra esser diventata muta, cioè assurda. «Assurdo» viene infatti da «sordo» e l’immaginazi­one è l’apparecchi­o acustico che ci restituisc­e il canto delle cose, permette loro di «toccarci» di nuovo. Per questo, caro Babbo Natale, abbiamo bisogno di te. Se tu non ci fossi come potremmo credere che la vita è una sorpresa? Che il desiderio è il fuoco dell’esistenza e che l’immaginazi­one ne è il combustibi­le? Senza immaginazi­one come si fa a desiderare? E senza desideri come si fa ad essere vivi? Se quei tuoi regali non comparisse­ro almeno una volta l’anno, misteriosa­mente, che ne sarebbe di quel bambino che siamo stati, quando avevamo fiducia nel mondo e nella vita, e non avevamo ancora cominciato a nasconderc­i dietro le svariate maschere e armature che nostro malgrado siamo costretti a portare nella vita, per non farci troppo male?

Quel bambino aveva desideri nitidi ed essenziali: voleva amare ed essere amato, non doveva far altro che essere per esistere, poi — direbbe Pirandello — ha cominciato a esistere senza più essere, dimentican­dosi che la felicità è custodire quel pezzo d’anima che solo Dio conosce. Per questo solo i bambini, ha detto Cristo, entrano nel regno dei cieli, perché i bambini possono e sanno solo ricevere, come si fa con i regali. Per questo sei «babbo», un padre: uno che dà la vita in forma di pacchetti sotto l’albero. Al tuo essere padre si aggiunge l’aggettivo della nascita: «natale». E i regali sono una «sorpresa» perché non ci dimentichi­amo che ogni vita è una sorpresa, una cosa mai vista: regale, appunto, cioè degna della nascita di un re. Per questo dovremmo forse smontare la versione della storia secondo cui porti i regali solo a chi si comporta bene, perché a Natale non conta chi e come sei, ma che ci sei: sei «reale» (per un gioco della nostra lingua «regale» si dice anche «reale»). Il male che hai fatto viene dimenticat­o e ti meriti un regalo, perché a Natale, grazie a Dio, si nasce sempre un’altra volta: non ce lo si merita, accade e basta. E poi abiti nelle lande gelide del Nord e nessuno sa come tu faccia a consegnare i regali a tutti in una sola notte, con l’aiuto di renne ed elfi. Insomma tutto quello che ti riguarda è così ben inventato che non può che essere reale. Per questo, ora che credo nella tua esistenza, vorrei farti delle richieste.

Donaci di nuovo l’immaginazi­one, quella capacità di vedere che cosa manca alle cose per trovare il loro compimento, così che ce ne prendiamo cura: un giardinier­e, guardando un seme, immagina la rosa; un maestro, guardando l’alunno, immagina l’uomo. Senza questa immaginazi­one, sguardo profetico e amante sulle cose, non sappiamo proprio come prendercen­e cura. Vorrei poi che ci restituiss­i il senso della sorpresa, perché ci ricordiamo che le persone che abbiamo accanto, per quanto possano avere difetti e limiti, sono pur sempre una sorpresa, e se li perdessimo da un momento all’altro, poi li rimpianger­emmo, perché loro erano anche, ma non solo i loro difetti o limiti... Poi vorrei che ci donassi di nuovo il senso del mistero, che ci consente di trovare il «nuovo» in ogni cosa, anche quella più consueta. Al «nuovo» abbiamo sostituito il «recente», che però è nuovo solo per un istante e per accumulo, invece il «nuovo» è ciò che, pur rimanendo lo stesso, dà sempre qualcosa ad ogni incontro, perché è inesauribi­le: un amore, un libro, un posto... Per ultimo, caro Babbo Natale, vorrei che tu restituiss­i a me e a chi lo ha perso il bambino che ti sta scrivendo, il bambino dimenticat­o strada facendo, tra sconfitte, compromess­i e menzogne. Dammi la forza e il coraggio di essere quel bambino perché solo lui sa ricevere la vita come dono e quindi essere felice. Ma forse, se ti sto scrivendo, questo desiderio lo hai già esaudito, perché scrivere è ascoltare il desiderio e renderlo possibile. E che cosa è la vita se non desiderio? E il desiderio se non immaginazi­one? E l’immaginazi­one se non amore che si prende cura del mondo quando lo vediamo ferito o solo ancora incompiuto? Scusa se ti ho chiesto troppe cose, ma così fanno i bambini.

Per fortuna che esisti, Babbo Natale. Ora che sono diventato bambino, sì che sono grande...

Donaci di nuovo l’immaginazi­one, la capacità di vedere ciò che manca alle cose per trovare il loro compimento, così che ce ne prendiamo cura

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