La variante di panico
Nella gerarchia del terrore, la «variante inglese» ha già soppiantato il semplice Covid, degradandolo ad angoscia secondaria. Di lui si comincia a parlare, non certo con nostalgia, ma come di un vecchio terribile balordo con il quale si stava faticosamente venendo a patti. Super Covid invece ha l’energia e l’imprevedibilità degli esordienti: sarà disposto a lasciarsi domare dalla campagna d’inverno delle vaccinazioni di massa che il nostro governo si accinge a lanciare con le capacità logistiche e organizzative di cui ha già dato così ampia prova? L’origine inglese della variante non tranquillizza: si sa come siano orgogliosi e bizzarri, da quelle parti. Non tranquillizzano nemmeno i virologi, seminatori di messaggi contraddittori. Mentre facevo colazione sono riuscito a sentirne uno che negava la maggiore letalità del nuovo venuto e un altro che, in piena estasi catastrofista, ne illustrava le potenzialità devastanti.
Ho reagito come le Borse: precipitando nel panico. E il panico ti fa perdere il senso delle cose. Non esiste una sola prova che Super Covid sia refrattario ai vaccini, mentre si sa per certo che è contagioso il triplo e rischia di intasare le terapie intensive. Prima che dai vaccini, fermarlo dipende dunque da noi, e nel solito noioso modo: aumentando ulteriormente le precauzioni. Ma a questo punto della pandemia, la stanchezza è tale che il terrore diventa quasi un analgesico: è più semplice prendersela con la scienza che scomodare la coscienza, specie se si tratta della propria.