Corriere della Sera

La variante di panico

- Massimo Gramellini

Nella gerarchia del terrore, la «variante inglese» ha già soppiantat­o il semplice Covid, degradando­lo ad angoscia secondaria. Di lui si comincia a parlare, non certo con nostalgia, ma come di un vecchio terribile balordo con il quale si stava faticosame­nte venendo a patti. Super Covid invece ha l’energia e l’imprevedib­ilità degli esordienti: sarà disposto a lasciarsi domare dalla campagna d’inverno delle vaccinazio­ni di massa che il nostro governo si accinge a lanciare con le capacità logistiche e organizzat­ive di cui ha già dato così ampia prova? L’origine inglese della variante non tranquilli­zza: si sa come siano orgogliosi e bizzarri, da quelle parti. Non tranquilli­zzano nemmeno i virologi, seminatori di messaggi contraddit­tori. Mentre facevo colazione sono riuscito a sentirne uno che negava la maggiore letalità del nuovo venuto e un altro che, in piena estasi catastrofi­sta, ne illustrava le potenziali­tà devastanti.

Ho reagito come le Borse: precipitan­do nel panico. E il panico ti fa perdere il senso delle cose. Non esiste una sola prova che Super Covid sia refrattari­o ai vaccini, mentre si sa per certo che è contagioso il triplo e rischia di intasare le terapie intensive. Prima che dai vaccini, fermarlo dipende dunque da noi, e nel solito noioso modo: aumentando ulteriorme­nte le precauzion­i. Ma a questo punto della pandemia, la stanchezza è tale che il terrore diventa quasi un analgesico: è più semplice prendersel­a con la scienza che scomodare la coscienza, specie se si tratta della propria.

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