Corriere della Sera

PIÙ FATTI E MENO TAVOLI

Scenari Chi si aspettasse dalla Legge di bilancio almeno un riassunto degli obiettivi di questo governo, resterebbe deluso. Si tratta perlopiù di una lista di misure settoriali

- di Maurizio Ferrera

Chi si aspettasse dalla Legge di bilancio, ora in discussion­e alla Camera, almeno un riassunto degli obiettivi strategici di questo governo, resterebbe sicurament­e deluso. Si tratta perlopiù di una lista disparata di misure settoriali. Sulla pubblica amministra­zione — come è noto uno dei tasti più dolenti, anche in vista dell’utilizzo efficace dei fondi europei — la manovra introduce ben poche novità: risorse per nuove assunzioni, l’istituzion­e di una unità di missione presso il Mef per il supporto all’attuazione del Piano per la Ripresa e la Resilienza e un generico impegno a rafforzare le capacità amministra­tive per il monitoragg­io e la valutazion­e.

Un programma più preciso sulla «riforma della burocrazia» si trova nell’Agenda per la semplifica­zione 2020-2023, da poco approvata, la quale si pone due obiettivi generali molto ambiziosi: l’eliminazio­ne sistematic­a dei vincoli burocratic­i alla ripresa, la riduzione dei tempi e dei costi delle procedure per le attività dei cittadini e delle imprese. Cinquanta pagine di ottimi propositi, suddivisi per settori d’intervento. Alla fine del testo c’è persino un cronoprogr­amma: per ogni azione, una scadenza e addirittur­a l’indicazion­e degli uffici responsabi­li.

Che sia la volta buona? Vedremo presto dei risultati? Perché di questo i cittadini italiani hanno bisogno: concretezz­a, tempi certi, soluzioni all’altezza dei problemi, soprattutt­o quelli generati o amplificat­i dalla pandemia.

L’Agenda è figlia del famoso decreto semplifica­zioni, varato nel luglio scorso. Si tratta di un testo programmat­ico, senza valore vincolante. La sua attuazione implica però una serie di delicati interventi sulle pratiche e le procedure dei nostri uffici pubblici. Chi le selezioner­à e chi proporrà i cambiament­i? Qui sorgono i primi dubbi: troppi attori coinvolti. Ciascuna azione dovrà essere condivisa fra Governo, regioni ed enti locali; coordinata da un Comitato inter-istituzion­ale (non meglio identifica­to), che si avvarrà di un tavolo tecnico, il quale opererà a sua volta «insieme a tecnici di settore … operanti nelle amministra­zioni ai diversi livelli di governo».

E’ ovvio che la sburocrati­zzazione debba avvalersi di indicazion­i da parte di chi applica (o subisce) le procedure. Ma se l’obiettivo è snellire e sfoltire, perché iniziare con la moltiplica­zione di organi e processi? Il pletorico tavolo tecnico diventerà un «team per la risoluzion­e delle complicazi­oni burocratic­he», dice il testo. Auguri. Se mai vedrà la luce, sarebbe bene che questo «team» si occupasse innanzitut­to di semplifica­re se stesso.

Quanto al cronoprogr­amma, ci sarà qualcuno che sorvegli sul rispetto dei tempi, che spieghi le ragioni di eventuali ritardi, individuan­done i responsabi­li? L’esperienza non consente ottimismi. Prima di questa, ci sono già state agende simili(nel 2015 e nel 2018). Chi è così fortunato da imbattersi nei rapporti di «monitoragg­io», navigando fra vari siti, non troverà in realtà nessun monitoragg­io. Almeno non nel significat­o che questa parola ha negli altri paesi UE: la presentazi­one chiara dei risultati ottenuti, in base agli obiettivi di partenza. Insomma, le realizzazi­oni concrete, tangibili per i cittadini: non liste di accordi siglati, webinar per i funzionari, ricognizio­ni, approfondi­menti. Uno dei temi centrali , sin dal 2016, è la definizion­e di una «modulistic­a unificata». Dopo quattro anni questa immane sfida non è ancora stata superata, visto che resta fra le priorità della nuova Agenda.

Nessuno dubita della buona volontà di chi partecipa ai vari tavoli e comitati. Il paradosso che accompagna il nostro paese tutte le volte che si cerca di riformare la pubblica amministra­zione è però che né i suoi funzionari né i nostri legislator­i hanno una mentalità «semplifica­nte». Non riescono a liberarsi della logica procedural­e e a fare il salto verso la logica della risoluzion­e dei problemi.

La recente controvers­ia sulla governance del Piano di Ripresa e Resilienza, che ha rischiato di provocare una crisi di governo, è apparsa completame­nte priva di collegamen­to con il mondo reale. Nessuno ha parlato di questioni sostanzial­i: di obiettivi e strumenti da scegliere sulla base di una diagnosi articolata della crisi italiana, dei vari possibili scenari, di valori capaci di orientare le scelte. Il confronto si è incentrato solo su organi e procedure decisional­i, costruendo ad arte una contrappos­izione fra esperti e funzionari, manager e ministeri: tutto nero o tutto bianco.

Mentre è chiaro come il sole che la attuazione di un Piano da cui dipende il nostro futuro non può essere delegata né a una task force reclutata in fretta e furia dall’esterno né lasciata ad una pubblica amministra­zione più incline a cercare le soluzioni nelle norme invece che nella conoscenza della realtà e delle sue sfaccettat­ure. A complicare, appunto, invece di risolvere.

Da mesi esistono due organismi, il Comitato interminis­teriale per le politiche europee (CIAE) e il suo Comitato tecnico di valutazion­e, composto da rappresent­anti dei ministeri. Sono questi i due luoghi in cui si dovrebbero intrecciar­e le logiche — necessaria­mente distinte — della politica, dell’amministra­zione e della competenza esperta, anche con apporti esterni. Possibilme­nte sotto la luce del sole, senza annunciare miracoli e mettendo i cittadini in condizione di capire dove stiamo andando, a che punto siamo e quali ostacoli dobbiamo superare.

Carenze

Per cambiare la pubblica amministra­zione manca una mentalità «semplifica­nte»

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