«Un uomo rigoroso che consapevolmente decise di affrontare il supremo sacrificio»
Èdiventato sacerdote dopo che il magistrato con il suo stesso cognome era stato ucciso dalla mafia. «Una vocazione rafforzata», dice don Giuseppe Livatino, 55 anni, parroco e primo postulatore del processo di beatificazione all’interno della Diocesi di Agrigento: «Mi fu subito chiaro che la storia e il miracolo di Rosario Livatino non rispondevano al cliché del “giudice ragazzino” che va incontro alla morte senza sapere e capire».
Esattamente il contrario?
«Livatino affronta il sacrificio supremo nella piena consapevolezza. Erano chiare le indiscrezioni che circolavano nell’estate del 1990. Pochi giorni prima del delitto per un controllo ad Agrigento i suoi assassini furono fermati e rilasciati perché non c’era nulla a carico. Lo braccavano. E lui sapeva. Nella sua agenda non ci sono indicazioni per i giorni successivi».
Eppure rinunciò alla scorta.
«Rinunciò, pur cosciente del rischio, anche all’auto blindata. Pensando agli altri: “Non posso coinvolgere padri di famiglia nel mio destino. Del resto, se vogliono, possono comunque usare il tritolo”».
Quale episodio ha esaltato da «postulatore»?
«Due, soprattutto. Intanto, l’ultima frase, prima del colpo di grazia, guardando in faccia gli assassini che lo avevano inseguito: “Picciò (picciotti, ragazzi, ndr) che cosa vi ho fatto?”. Li richiama. Aziona l’arma del dialogo. Lascia un quesito che germoglia e lentamente porterà chi spara a pentirsi».
E poi?
«Nel corso di un regolamento di conti, un boss mafioso viene colpito a morte. A un ufficiale dei carabinieri tutto soddisfatto e gongolante accanto a quel corpo senza vita, Livatino dice: “Di fronte alla morte chi ha fede, prega; chi non ce l’ha, tace!”».
Lo hanno sempre descritto come un giudice severo...
«E giusto. Alla legge bisogna dare necessariamente un’anima, sosteneva. Spiegando che l’obiettivo della giustizia è redimere chi sbaglia e reinserirlo nella società civile».
La caratteristica di Livatino che offrirebbe come modello agli altri magistrati?
«Il riserbo. Livatino fu estremamente riservato e schivo a ogni palcoscenico. Non volle mai far parte di gruppi, associazioni o club-service. Pochissime le foto ritrovate. Non c’è una sua intervista in 12 anni da magistrato. Mai dalla sua bocca uscì una sola indiscrezione sulle indagini che andavano svolte nel riserbo cercando prove e riscontri».