Il robot che parla ai bimbi autistici «Con lui imparano a interagire»
Creato dall’IIt, ICub ora è in un’équipe medica. La psicologa: i piccoli si mettono nei suoi panni
Il bambino è seduto davanti a un robot, anzi il robot: ICub, l’umanoide con fattezze infantili realizzato dall’IIT, Istituto Italiano di tecnologia. ICub ha un cubo in mano, il bambino che gli siede davanti ha un identico cubo, su ogni faccia è applicato un disegno, ad esempio una balena, un leone e così via. La domanda che pone il terapista al bambino è: che cosa sta guardando ICub? Non è una domanda semplice. Per i bimbi che soffrono di un disturbo dello spettro autistico è una domanda molto complessa. Un team di ricercatori dell’IIT e un’équipe medica dell’Opera don Orione di Genova stanno sperimentando l’utilizzo dell’umanoide per migliorare le capacità di interazione sociale di questi bimbi, una cinquantina, fra i tre e gli otto anni. È la prima volta che un robot come ICub entra all’interno di una struttura riabilitativa con questo compito.
«L’idea — spiega Davide Ghiglino ricercatore del team del Social Cognition in Human-robot Interaction — è nata dalla volontà di far uscire questa tecnologia avanzata dal laboratorio per portarla nello spazio clinico, a contatto con le persone». Il robot è fondamentale in questo caso perché, dice Ghiglino «interagire con un essere umano fornisce una quantità di stimoli, anche emotivi, troppo elevata e difficile da interpretare per chi ha disturbi allo spettro autistico. Il robot è più neutro e il fatto che ripeta gli stessi gesti decine di volte senza quei cambiamenti inevitabili se a compierli è un essere umano, aiuta i bambini a concentrarsi». ICub ha una mimica base: sorride davanti a risposte positive, incoraggia con brevi frasi se un errore viene reiterato, non ha mai risposte frustranti per il bambino. «Il punto — spiega la psicologa Federica Floris coordinatrice del centro Boggiano Pico del don Orione — è che il bambino inizia a rapportarsi in termini spaziali con il robot e poco per volta si mette “nei panni” di ICub cercando di capire che cosa vede. In parole semplici si mette dal punto di vista dell’altro, questo è un passaggio molto importante per migliorare la comunicazione e la capacità di relazioni interpersonali di questi pazienti».
Alcuni bambini con ipersensibilità agli stimoli acustici hanno dovuto superare il problema di entrare nell’aula con ICub a causa dell’impercettibile (per gli altri) rumore di una ventola: l’esempio offre un’idea di quanto sia complesso fare progressi in questo campo. Oggi ci sono bimbi che hanno dato un nome a ICub. «Quando interagisco io — continua la psicologa — è difficoltoso per i pazienti mantenere il contatto visivo. Con ICub invece sostengono il contatto visivo e mantenendo la concentrazione riescono a fare progressi nell’interazione». Il prossimo passo dicono Ghiglino e Floris è estendere questa sperimentazione agli adolescenti.
Sorride alle risposte positive, incoraggia se un errore è reiterato, non usa frasi frustranti