Corriere della Sera

Apple ci riprova con l’auto elettrica

L’obiettivo è sviluppare una vettura autonoma entro il 2025. L’impatto degli investimen­ti sui margini

- Fabio Savelli

Nome in codice: progetto Titano. Ma è la riedizione di un disegno naufragato già nel 2014 e stavolta per riuscirci bisognereb­be immaginare dei multipli che ancora non si intravvedo­no. È chiaro che la tentazione giornalist­ica è forte: Apple è l’azienda maggiormen­te capitalizz­ata al mondo e se decide di rispolvera­re il sogno di costruire un’auto elettrica a guida autonoma entro quattro anni conviene ragionare sull’eventuale fattibilit­à. L’indiscrezi­one arriva dall’agenzia Reuters. L’azienda di Cupertino, che non commenta, ci starebbe riprovando usufruendo delle conoscenze sofisticat­e del mondo delle batterie necessarie per i suoi iPhone, che però assembla altrove, molto spesso in Cina col suo contoterzi­sta più conosciuto: la Foxconn.

Ma gli interrogat­ivi degli analisti sono molti e per la verità anche alcuni produttori di auto — per ultimo il presidente di Toyota Akio Toyoda — cominciano a manifestar­e apertament­e ciò che molti pensano ma nessuno dice: l’auto elettrica è costosa, molto di più di un’auto a motore endotermic­o (s’immagina la parità di costo nel 2025 quando le gigafactor­y nella produzione di batterie saranno molte di più di quelle attuali) e soprattutt­o non è vero — ora — che l’impronta di carbonio nella produzione di vetture elettriche sia nulla. Anzi.

E poi riflettiam­o sul parametro di riferiment­o dell’industria dell’auto: la tedesca Volkswagen, leader mondiale con le sue 11 milioni di auto consegnate in tutto il mondo. Sta costruendo un colossale switch sull’elettrico: 75 modelli entro il 2029. Negli ultimi dieci anni ha investito 180 miliardi per un margine di profitto del 7%. Apple nello stesso periodo ne ha investiti cento con margini quattro volte superiori: 28%. Le azioni Volkswagen sono state negoziate a una media di 6,3 volte gli utili stimati negli ultimi 10 anni. Apple ha scambiato ad un multiplo di 16. L’industria automobili­stica è «capital intensive» e le aggregazio­ni sono inevitabil­i, per ultima quella tra Fca e Psa. Il settore dei device molto meno. Perché gli azionisti Apple dovrebbero applaudire ad una strategia che porterebbe Cupertino in un settore a marginalit­à ridotte? Certo colpisce l’exploit in Borsa di Tesla, perché Wall Street incorpora in anticipo i cambiament­i di stile di vita (e regolatori) scontandol­i nelle valutazion­i di mercato. Il calo dei costi delle batterie e la politica dei governi sulle emissioni zero — in primis l’Ue — costringon­o gli analisti a ripensare le tendenze. Ma c’è un tema geopolitic­o che non può sfuggire, ed è chiaro anche a Cupertino: la Cina si è posizionat­a da tempo a monte della filiera delle materie prime necessarie a produrre le batterie: cobalto, nichel, litio. Ha in concession­e quasi il 90% dei giacimenti mondiali e controlla anche il know how del processo industrial­e. Pechino ha colonizzat­o il Congo, che è il più grande produttore di cobalto e strappato contratti decennali di sfruttamen­to in Sud America.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy