Che fatica dire addio al Pci Profonde cicatrici a sinistra
Testimonianze In «Rendiconto» (La nave di Teseo) Claudio Petruccioli ripercorre una stagione politica
Ancora un libro su una «svolta» che non c’è mai stata, quella del Pci trasformato in un partito socialdemocratico? No, si tratta della ripubblicazione di un vecchio libro e di nuovo in Rendiconto di Claudio Petruccioli (La nave di Teseo), oltre a una breve introduzione, c’è solo il capitolo finale. Ma allora, perché ripubblicarlo?
Credo che chiunque lo prenda in mano e cominci a leggerlo questa domanda non se la porrà proprio, tanto avvincenti sono le vicende in esso narrate, dense di ritratti e incontri con i protagonisti di allora. E così efficace e coinvolgente è il modo con cui sono raccontate. Avvincenti, coinvolgenti, ma soprattutto ricche di riflessioni che vanno oltre il caso nazionale e personale cui si riferiscono: la storia del Pci e del Pds da quando l’autore entrò a far parte della segreteria nazionale del Pci nell’estate del 1987 sino al Congresso di Pesaro del Pds del 2001. Da allora Petruccioli non ha più esercitato ruoli dirigenti nel partito.
Perché sono importanti queste vecchie vicende e le riflessioni che da esse scaturiscono? Lo sono perché la situazione in cui versa il nostro Paese (meglio, in cui versava prima dell’esplosione della pandemia: ora è molto più drammatica) discende direttamente da scelte che le sue classi politiche fecero o non fecero nel cruciale passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica, e il Pci-Pds ebbe in esse un ruolo di grande rilievo. Sapere da una fonte interna al gruppo dirigente di quel partito perché si presero certe decisioni e non altre è dunque un notevole contributo ad una comprensione storica di quegli anni. Ovviamente da bilanciare con altre fonti, perché nel Pci si era aperta una forte tensione politica dopo il collasso dell’Unione Sovietica e la decisione di cambiare il nome del partito: una tensione che aveva radici profonde, i cui effetti si fanno sentire ancora oggi.
L’autore del Rendiconto non è un notaio che registra: è un attore che sceglie e che combatte una battaglia politica, che nel partito ha amici e nemici. Ma è proprio questo che rende il libro una lettura affascinante.
È affascinante perché Petruccioli è uno scrittore nato. Un giornalista che si documenta e ha l’abitudine di prendere note accurate sugli eventi cui assiste e sulle decisioni cui partecipa, e poi riassumerle in un lunghi «resoconti» quando l’evento si è concluso e una decisione importante è stata presa.
Il libro è stato dunque scritto a ridosso degli eventi narrati, assai prima della sua (prima) pubblicazione nel 2001. In sostanza, si compone di tre narrazioni: una del marzo 1991 in cui terminò il lungo passaggio dal Pci al Pds; la seconda sulla vicenda del gover- no Ciampi, del giugno 1993; infine quella scritta nell’estate del 1994, dopo la sconfitta elettorale e le dimissioni di Achille Occhetto. Questo modo di scrivere dà una grande freschezza al resoconto: al lettore sembra di stare in mezzo a una battaglia mentre questa infuria. Una battaglia raccontata con passione di parte, ma senza toni astiosi o maligni: anche il ritratto del principale avversario di Occhetto e Petruccioli, quello che alla fine vinse la partita, Massimo D’Alema, rivela comprensione e stima. È un tributo alla bellezza della politica, quando questa è esercitata da persone intelligenti, oneste e preparate: dunque un efficace antidoto al discredito di questa professione/vocazione che è dilagato in Italia, e non solo in Italia.
Ma è soprattutto è un tributo alla democrazia, alla democrazia liberale: anche queste persone oneste, intelligenti e preparate possono commettere grandi errori quando si sono formate in una visione ideologica dalla quale, a un certo punto del loro impegno politico, risulta difficile deflettere. Un tributo tanto più efficace perché non emerge da un freddo saggio economico o politologico, ma da un caldo racconto delle difficoltà in cui i protagonisti di questa storia si ritrovarono quando crollò l’Unione Sovietica, e con essa il mito della Rivoluzione e del Comunismo.
La difficoltà non risiedeva tanto in ragioni di opportunità organizzativa, che pur ci furono («che cosa raccontiamo adesso al “popolo” che ci ha seguito sinora?»). Ma in ragioni ben più profonde, che non solo la vecchia leadership del partito, ma anche molti dei giovani che aderirono alla «svolta», al cambiamento di nome, in buona parte condividevano.
Per motivi di necessità si fece la svolta: ma molti di coloro che a essa aderirono, a partire dallo stesso Occhetto che ne intuì la necessità, non sapevano in quali contrasti essa li avrebbe messi coll’apparato ideologico e culturale nel quale si erano formati e nell’ambito del quale continuavano a ragionare.
Al di sotto del resoconto corre dunque un romanzo di formazione, il Bildungsroman di un gruppo dirigente e dello stesso Petruccioli. Ritiratosi dalla politica attiva e dedicandosi alla riflessione e agli studi, Petruccioli ha avuto modo di costruirsi la solida cultura liberaldemocratica che rivela nelle ultime pagine dell’ultimo capitolo del libro, aggiunto a questa ripubblicazione.
Di questo capitolo consiglierei però di leggere subito la lunga lettera che Petruccioli scrisse molti anni fa al suo amico e compagno Fabio Mussi, che con lui aveva partecipato alla «svolta», quando questi, al congresso di Firenze del 2007, si rifiutò di aderire all’ultima trasformazione del Pci, il Partito democratico. Nulla illustra con maggiore efficacia e sincerità il titolo che Petruccioli ha voluto dare al suo post scriptum: «Quanto è difficile uscire dal Pci».
Eredità pesante
La situazione attuale dipende da quanto avvenne nei passaggi degli anni Novanta
Tono pacato
Il ritratto di D’Alema, avversario di Occhetto e Petruccioli, rivela comprensione e stima