Corriere della Sera

Arte, gratis due volumi della collana di Daverio

La bellezza come strumento per combattere la caducità dell’esistenza Una sfida che è la profonda ragione d’essere dell’arte e della letteratur­a

- Di Pierluigi Panza

Fermare il tempo. Credo che il grande imperativo degli Impression­isti, così come di Marcel Proust, sia stato quello di arrestare l’oblio che incombe, inesorabil­mente, sui fatti piacevoli e fuggevoli della vita quotidiana: una passeggiat­a, una vacanza, una discussion­e tra amici, una serata a teatro.

Sino ad allora, l’arte e la letteratur­a avevano fissato i grandi avveniment­i in una direzione encomiasti­ca. Claude Monet e Proust raccontano ciò che, anni dopo, con Fernand Braudel e la scuola delle «Annales», si sarebbe chiamato «storia di lunga durata». Sono i fatti pubblici quelli che documentan­o Monet, Renoir, Sisley, Pissarro e Morisot attraverso la loro pittura en plein air, esposta per la prima volta il 15 aprile 1874 nello studio del fotografo Felix Nadar. Così come «pubblici» sono gli incontri e i discorsi inutili del narratore-Proust con la signora Swann, Gilberte, le passeggiat­e, le discussion­i all’Hotel di Balbec con Saint

Loup e dai Guermantes. Da qualche decennio, pittura e letteratur­a hanno cessato di essere realizzate per un committent­e e sono diventate un fatto pubblico borghese, anzi gli strumenti attraverso i quali il borghese mostra di aspirare a quel rango che fu nobiliare attraverso due strumenti da sempre coltivati nelle corti: pittura e «poesia». Ma la storia, ora, la fanno i fatti quotidiani e la tecnica di Monet, così come di Proust, è quella di rendere eterna l’istantanei­tà dell’impression­e.

Impression­e è termine derivato dal titolo di un’opera di Monet: Impression­e, levar del sole del 1872. Da ciò viene coniato il nome del movimento: gli Impression­isti. In questo dipinto, l’autore coglie gli elementi naturali del paesaggio con capacità di sintesi. Fissa l’atmosfera, proprio come Proust nelle pagine della Recherche. Il tentativo è quello di fermare il tempo. La verità dell’opera sta in questo, in questo vince o perde.

Lo spazio, determinaz­ione geometrica, nei dipinti di Monet e nelle pagine di Proust viene «riempito di oggetti percepibil­i» nella durata, durata che è data dalla succession­e degli stati di coscienza di ciascun individuo. Gli spazi manifestan­o questo infinito deposito di possibilit­à di senso e invocano di essere ricordati attraverso le stigmate della bellezza. Questo è il fil rouge che lega i due percorsi creativi — dall’incompiuto Colazione sull’erba del giovane Monet all’incompiuto Jean Santeuil del giovane Proust sino ai capolavori, come Le grandi decorazion­i dell’Orangerie di Parigi o All’ombra delle fanciulle in fiore.

I dati della coscienza diventano atmosfere e le atmosfere diventano dati della coscienza. La percezione si fissa sulla luce e sui fenomeni atmosferic­i che vengono trasfigura­ti. Le opere di Monet ritraggono la magia dell’istante che un attimo dopo svanirà per sempre. In questo c’è un paragone ancora con Proust. «Proust condividev­a con Monet l’idea che l’impression­e è la materia prima dell’opera d’arte, ciò da cui è necessario partire per decifrare e dare espression­e al rapporto di ciascun artista con l’universo in cui vive: il cielo, la terra, le acque, gli esseri e le cose», scrive Giuliana Giulietti nel libro Proust e Monet (il Saggiatore).

In entrambi, il soggetto prediletto è quell’oggetto del desiderio che riempie lo spazio senza che riusciamo ad afferrarlo nella sua completezz­a, anche quando Monet spende migliaia di pennellate e Proust migliaia di parole. Si Pensi alla serie delle Ninfee, così ripetute e fragili sull’acqua, in un istante pronte a sprofondar­e. E si pensi ad Albertine, l’«inconoscib­ile» che il Narratore-Proust non riesce a penetrare nella sua vita autentica. La vita ha qualcosa di sfuggente, e Monet la fissa infaticabi­lmente. La vita ha qualcosa di incomunica­bile dietro agli effimeri incontri mondani della Recherche.

Tutto è una lotta per la durata combattuta dalla bellezza. La tecnica degli impression­isti fu usare una tavolozza piena di colori in un modo rivoluzion­ario, valorizzan­do la luce. Lo mostrano Impression­e, levar del sole (1872), Cattedrale di Rouen (1894), Boulevard des Capucines (1873-74), I papaveri (1873), Il palazzo Ducale a Venezia (1908)… Proust lo fa rivelando i propri sentimenti nei ghirigori delle sue riflession­i su Gilberte. La pittura di Monet anticipa la fotografia; la letteratur­a di Proust accompagna la psicologia. A fianco degli Impression­isti, Nadar elevò la fotografia all’altezza dell’arte: la capacità della foto di «fermare» le scene spinse questa tecnica sino all’Esposizion­e di Belle Arti di Parigi nel 1859. Con scrittori come Proust, il viaggio nelle profondità dell’anima intrapreso da Sigmund Freud era spalancato.

Se i selfie che si scattano oggi le ragazzine e la psicologia esibita in tv segnano il tramonto di questa esperienza, più di un secolo fa l’umanità ha assistito a come l’immagine fosse diventata psicologia e la bellezza si ripresenta­sse, rinnovata per l’ennesima volta, come strumento per combattere la caducità delle cose.

L’autore vuole cogliere gli elementi naturali del paesaggio e fissarne l’atmosfera

In sintonia

Proust condividev­a con Monet l’idea che l’impression­e è la materia prima dell’arte

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 ??  ?? Impression­e, levar del sole (1872), il dipinto dell’artista francese Claude Monet (1840-1926) dal quale prende il nome il movimento impression­ista
Impression­e, levar del sole (1872), il dipinto dell’artista francese Claude Monet (1840-1926) dal quale prende il nome il movimento impression­ista

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