Corriere della Sera

RIPENSARE LA LEGGE SUL VOTO

- di Paolo Mieli

Siamo ancora in tempo. M5S e Pd hanno a disposizio­ne qualche settimana per tornare sulla decisione presa nel settembre 2019 di sostituire l’attuale sistema elettorale con uno proporzion­ale «puro» (accompagna­to da uno sbarrament­o al 5%). All’epoca i due partiti che si accingevan­o a mettere al mondo il Conte II erano terrorizza­ti dall’ipotesi che la situazione potesse sfuggir loro di mano e in eventuali elezioni anticipate la destra potesse stravincer­e. Relegandol­i di conseguenz­a all’opposizion­e nella prossima legislatur­a (e forse non solo in quella). Ancor più la loro ansia è cresciuta dopo il taglio dei parlamenta­ri. Così, contraddic­endo impegni dalla forte connotazio­ne identitari­a presi negli anni precedenti, incoraggia­ti oltretutto da alcune sentenze della Corte costituzio­nale, optarono in un battibalen­o per un nuovo sistema di calcolo delle schede. Un sistema che avrebbe dovuto impedire la vittoria di chi (partito o coalizione) non abbia ottenuto più del 50% dei voti. E che, di conseguenz­a, avrebbe lasciato intatta per i partiti la facoltà di cimentarsi con le più svariate e fantasiose alchimie parlamenta­ri. Come è accaduto in occasione del varo di entrambi i governi dell’attuale legislatur­a presieduti da Giuseppe Conte.

Ma adesso che lo spavento è passato, ora che il centrodest­ra è diviso non meno del centrosini­stra e ha meno vento nelle vele, sarebbe forse il caso che i partiti di maggioranz­a tornassero su quella scelta. Per almeno tre motivi.

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