CAPIRE I DATI IL PESO POLITICO ACQUISTATO DALLA INFORMAZIONE
Nell’anno del coronavirus l’informazione scientifica ha assunto un ruolo cruciale. Una sfida che ha presentato difficoltà senza precedenti. Non tanto, o solo, per la complessità del problema, per la rapidità della sua evoluzione, la sua prepotenza e al tempo stesso la sua elusività, ma piuttosto per il suo intrecciarsi con la cronaca, con la politica, con l’economia.
Si dice che chi fa informazione, anche in campo scientifico, debba limitarsi a informare e non si debba preoccupare di formare, compito da demandare piuttosto a soggetti istituzionali. In realtà nelle circostanze che si sono venute e creare attenersi rigorosamente a tale dettato avrebbe anche potuto rischiare di trasformarlo in un alibi. Informare significa in fondo «dare forma», alle opinioni di chi legge, che hanno, appunto, bisogno di formarsi. A pandemia in corso sarebbe stato insufficiente limitarsi al rigore che il metodo scientifico esige anche nel «mestiere di divulgare». È diventato necessario tenere presente un contesto nel quale la sensibilità dei lettori era, ed è, estremamente alta.
In sé non è una novità. C’è sempre stato bisogno di tenerne conto, basti pensare, solo per fare qualche esempio, alle responsabilità che ci si assume quando si trattano temi di bioetica, oppure relativi a malattie che hanno ricadute sociali complesse, come è stato nel caso dell’Aids, oppure ancora quando ci si trovi a scrivere di cure dal costo altissimo capaci di salvare pochissime vite. Ma nel caso di Covid-19 a fare la differenza è stata la diffusione inedita di questa sensibilità, dal momento che il tema interessa e investe l’intera popolazione, senza eccezioni, con ricadute che vanno ben oltre la salute in senso stretto.
In questo quadro sono diventate talora «notizia» dichiarazioni non infondate scientificamente, rilasciate da esperti riconosciuti nel loro campo ma non sempre consapevoli dei meccanismi dell’informazione, che hanno rischiato di «formare» opinioni che si sono tradotte in comportamenti e decisioni imprudenti o, al contrario, che hanno fatto perdere inutilmente fiducia. E ci sono stati articoli e titoli che sono non di rado oscillati fra ottimismo ingenuo e realismo tragico, sebbene fondati su dati effettivi.
In qualsiasi campo della scienza il primato è sempre del dato. Ma i dati bisogna saperli analizzare con competenza, calarli in una storia, in una continuità, essere in grado di confrontarli. E riferirli dopo averli «digeriti», non per arrogarsi il diritto di filtrarli o di censurarli (ci mancherebbe) bensì per rispettarne la dignità e riconoscerne il reale portato. Un dato, da solo, può essere vero ma non dire tutta la verità, e, soprattutto, può essere usato per scopi personali, che siano politici o economici, fino a diventare falso pur essendo tecnicamente vero.
Anche e soprattutto per queste ragioni quest’anno l’informazione scientifica, ha assunto un peso politico. Per queste ragioni ha richiesto e richiede un senso di responsabilità straordinario, che poggi su scienza, coscienza e prudenza, le stesse che vengono pretese da un medico.
Non sempre è facile, non sempre è nemmeno possibile: il rincorrersi degli avvenimenti e il mutare rapido delle situazioni certo non aiuta.
Nondimeno, anche per chi la scienza non la fa, ma si limita a raccontarla, è necessario fare costantemente professione di onestà intellettuale e d’umiltà.