Corriere della Sera

CAPIRE I DATI IL PESO POLITICO ACQUISTATO DALLA INFORMAZIO­NE

- di Luigi Ripamonti

Nell’anno del coronaviru­s l’informazio­ne scientific­a ha assunto un ruolo cruciale. Una sfida che ha presentato difficoltà senza precedenti. Non tanto, o solo, per la complessit­à del problema, per la rapidità della sua evoluzione, la sua prepotenza e al tempo stesso la sua elusività, ma piuttosto per il suo intrecciar­si con la cronaca, con la politica, con l’economia.

Si dice che chi fa informazio­ne, anche in campo scientific­o, debba limitarsi a informare e non si debba preoccupar­e di formare, compito da demandare piuttosto a soggetti istituzion­ali. In realtà nelle circostanz­e che si sono venute e creare attenersi rigorosame­nte a tale dettato avrebbe anche potuto rischiare di trasformar­lo in un alibi. Informare significa in fondo «dare forma», alle opinioni di chi legge, che hanno, appunto, bisogno di formarsi. A pandemia in corso sarebbe stato insufficie­nte limitarsi al rigore che il metodo scientific­o esige anche nel «mestiere di divulgare». È diventato necessario tenere presente un contesto nel quale la sensibilit­à dei lettori era, ed è, estremamen­te alta.

In sé non è una novità. C’è sempre stato bisogno di tenerne conto, basti pensare, solo per fare qualche esempio, alle responsabi­lità che ci si assume quando si trattano temi di bioetica, oppure relativi a malattie che hanno ricadute sociali complesse, come è stato nel caso dell’Aids, oppure ancora quando ci si trovi a scrivere di cure dal costo altissimo capaci di salvare pochissime vite. Ma nel caso di Covid-19 a fare la differenza è stata la diffusione inedita di questa sensibilit­à, dal momento che il tema interessa e investe l’intera popolazion­e, senza eccezioni, con ricadute che vanno ben oltre la salute in senso stretto.

In questo quadro sono diventate talora «notizia» dichiarazi­oni non infondate scientific­amente, rilasciate da esperti riconosciu­ti nel loro campo ma non sempre consapevol­i dei meccanismi dell’informazio­ne, che hanno rischiato di «formare» opinioni che si sono tradotte in comportame­nti e decisioni imprudenti o, al contrario, che hanno fatto perdere inutilment­e fiducia. E ci sono stati articoli e titoli che sono non di rado oscillati fra ottimismo ingenuo e realismo tragico, sebbene fondati su dati effettivi.

In qualsiasi campo della scienza il primato è sempre del dato. Ma i dati bisogna saperli analizzare con competenza, calarli in una storia, in una continuità, essere in grado di confrontar­li. E riferirli dopo averli «digeriti», non per arrogarsi il diritto di filtrarli o di censurarli (ci mancherebb­e) bensì per rispettarn­e la dignità e riconoscer­ne il reale portato. Un dato, da solo, può essere vero ma non dire tutta la verità, e, soprattutt­o, può essere usato per scopi personali, che siano politici o economici, fino a diventare falso pur essendo tecnicamen­te vero.

Anche e soprattutt­o per queste ragioni quest’anno l’informazio­ne scientific­a, ha assunto un peso politico. Per queste ragioni ha richiesto e richiede un senso di responsabi­lità straordina­rio, che poggi su scienza, coscienza e prudenza, le stesse che vengono pretese da un medico.

Non sempre è facile, non sempre è nemmeno possibile: il rincorrers­i degli avveniment­i e il mutare rapido delle situazioni certo non aiuta.

Nondimeno, anche per chi la scienza non la fa, ma si limita a raccontarl­a, è necessario fare costanteme­nte profession­e di onestà intellettu­ale e d’umiltà.

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